Una colonna infame sull’Isola Tiberina

Vi si scrivevano i nomi dei “banditi” che non si erano comunicati a Pasqua

 

di Cinzia Dal Maso

Quasi al centro dell’Isola Tiberina, di fronte alla chiesa di San Bartolomeo, sorge un caratteristico monumento: una “guglia” di marmo, sormontata da una cuspide su cui spicca una croce. Fu innalzata nel 1869 da Ignazio Jacometti, per volere di Pio IX, che voleva così perpetuare il ricordo del Concilio Vaticano. Sulle quattro facce si aprono altrettante nicchie, che ospitano le statue di san Bartolomeo, San Paolino di Nola, San Giovanni di Dio e San Francesco d’Assisi. La piccola memoria cristiana occupa il posto di un ben più vetusto monumento: l’obelisco che i romani antichi avevano qui innalzato a mo’ di albero maestro dell’enorme nave in cui era stata trasformata l’Isola. Almeno fin dal I secolo a.C., infatti, la forma allungata dell’Isola Tiberina (circa 270 metri per 70) aveva assunto l’aspetto di un’imbarcazione, grazie ad una prua ed una poppa in peperino rivestito di travertino. L’obelisco rimase al suo posto fino al 1500, quando – dopo tanti secoli di onorato servizio - venne smontato e trasportato, parte al Museo Nazionale di Napoli, parte a Parigi e quindi a Monaco. Il povero monumento smembrato fu sostituito da una colonna scanalata di marmo tasio, detta dal popolo “la colonna infame”, perché il 24 agosto, giorno della festa di San Bartolomeo, vi si affiggeva una tabella con i nomi dei banditi che non si erano comunicati a Pasqua, “banditorum illorum qui in die paschali de Sanctissima Coena non parteciparunt”. Naturalmente, nell’elenco non mancò di essere compreso il pittore di Trastevere, Bartolomeo Pinelli, noto per la sua vita dissoluta. Giuseppe Gioacchino Belli, in una nota al sonetto “La morte del zor Meo”, specifica che nel 1834, vedendo il suo nome “sulla solita lista degl’interdetti per inadempimento al precetto pasquale”, Pinelli si lamentò, ma non per essere indicato come un miscredente. “Avendovi egli letto essergli attribuita la qualifica di miniatore, andò in sacristia ad avvertire che Bartolommeo Pinelli era incisore, onde si correggesse l’equivoco sulla identità della persona”. L’aneddoto si adatta perfettamente al carattere del pittore “che portava li capelli / giù per grugno e la mosca ar barbozzale”, quando chi si lasciava crescere la barba era sospettato di simpatie giacobine.

Un bel giorno un carro urtò con violenza la colonna, che si spezzò e dovette essere tolta. Se qualcuno aveva sperato di non vedere più affissi i nomi dei “banditi”, si era sbagliato, perché, almeno per qualche anno, la famigerata tabella fu sistemata sulla guglia dello Jacometti.

Nel frattempo, era venuta meno un’altra tradizione dell’Isola legata alla festa di San Bartolomeo, la “Sagra dei cocomeri”, che vedeva la piazzetta ingombra di bancarelle. Alcuni cocomeri venivano lanciati nel fiume, omaggio per chi si tuffava e riusciva a recuperarli, ma il gioco, troppo pericoloso per la corrente e le ruote dei mulini, venne proibito intorno alla metà dell’Ottocento.


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