La spada del paladino Orlando spaccava persino le colonne

 

 

di Cinzia Dal Maso

Sulla piazza Capranica, a destra della chiesa di Santa Maria in Aquiro, si apre il vicolo della Spada d’Orlando. La curiosa denominazione, che risale almeno alla prima metà del Cinquecento, prende vita da un’antica leggenda. Nella stradetta si conserva un pezzo di un’antica colonna di cipollino, ormai quasi informe e consumato dal tempo. Caratteristica di questa qualità di marmo è sfaldarsi in larghe scaglie – appunto come una cipolla – e una fenditura più larga delle altre ha fatto pensare ad un tremendo colpo di spada inferto alla colonna. Ma chi avrebbe potuto colpire un pezzo di marmo così forte da lasciarvi il segno? Non altro che il paladino Orlando, quando, ferito mortalmente a Roncisvalle, cercava di spezzare la sua celebre spada Durlindana, fedele compagna di tante avventure, affinché non cadesse in mano nemica. Si trattava di un’arma davvero prodigiosa, dono del re Carlo Magno, che a sua volta l’avrebbe ricevuta da un angelo. Il pomo avrebbe contenuto un dente di San Pietro, del sangue di San Basilio, capelli di monsignor Dionigi e persino un lembo del vestito della Madonna.

Quando e come il pezzo di colonna sia poi giunto proprio a Roma dai lontani Pirenei, la leggenda non lo specifica. Un’altra storia, egualmente inverosimile, vuole Orlando a passeggio per le vie di Roma. Appena entrato nel vicolo, sarebbe stato assalito da una banda di agguerritissimi Mori, spuntati chissà da dove. Il paladino senza macchia e senza paura li avrebbe sbaragliati tutti, menando a destra e manca gran colpi di Durlindana. Uno degli infedeli, però, riuscì a schivare appena in tempo un terribile fendente e la spada si abbatté sulla colonna, provocando il lungo taglio che si vede ancora. Naturalmente, si tratta di fantasie popolari prive di qualsiasi fondamento. Il frammento di colonna, come gli altri due inglobati nel palazzo della Compagnia del Rosario al n. 76 di piazza Capranica, appartiene ad un antico edificio sacro, l’unico del mondo dedicato da un uomo alla propria suocera. L’imperatore Adriano, infatti, rese onori divini a Matidia, madre della moglie Sabina e nipote di Traiano, morta nel 119 d.C. e le eresse persino questo gigantesco tempio. Le colonne avevano un diametro di un metro e settanta centimetri, per cui si è calcolato che dovessero essere alte almeno 17 metri. Una moneta di Adriano, del 120 d. C., ci restituisce la forma della costruzione, affiancata da due portici, dove trovavano posto la basilica di Matidia (oggi probabilmente sotto la chiesa di S. Maria in Aquiro) e quella della madre Marciana, sorella maggiore di Traiano (sotto le case di via dei Pastini). Alla morte di Adriano, il complesso venne completato con il tempio del Divo Adriano, di cui resta un intero lato, con 11 colonne corinzie in marmo bianco, inserite nel moderno edificio della Borsa, in piazza di Pietra.


INDIETRO

WWW.SPECCHIOROMANO.IT - Rivista telematica di Cultura
Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 224 / 2013 del 25 settembre 2013
Copyright 2003-2019 © Specchio Romano  - webmaster Alessandro Venditti

Contatore siti