La dura vita delle Vestali

Emilia, Licinia e Marcia furono sepolte vive per un oracolo

 

 

di Annalisa Venditti

Nel 114 a.C. un fulmine colpì, mentre cavalcava, la vergine Helvia, figlia del cavaliere Lucio Helvio. La giovinetta era stata trovata a terra completamente nuda e con le vesti intatte al suo fianco. Persino l’animale giaceva al suolo senza cinghie e freni. Subito si pensò ad un prodigio "osceno e funesto" e venne interrogato l’oracolo: poiché erano stati fulminati una vergine ed il suo cavallo, l’evento venne interpretato come manifestazione divina di una grave colpa terrena. Tre vestali, Emilia, Licinia e Marcia, furono allora accusate di non aver rispettato il trentennale voto di castità e di essersi congiunte con tre giovani esponenti dell’ordine equestre. La colpa, immonda per l’intera comunità, venne purificata con la morte e le tre donne furono seppellite vive nel "campo scellerato", vicino Porta Collina, nei pressi dell’attuale via XX Settembre. Era infatti questa la sorte che toccava alle sacerdotesse del culto di Vesta che avessero perduto la verginità. Reclutate tra i 6 ed i 10 anni, le sei giovani erano consacrate al culto ed alla cura del fuoco che ardeva nel Tempio della divinità, posto nel Foro Romano. Il loro stato sociale era superiore a quello delle altre matrone: come le imperatrici potevano girare da sole in carrozza ed i consoli, in strada, erano obbligati a ceder loro il passo. Avevano la facoltà di fare testamento senza bisogno dell’autorizzazione maschile e se un condannato a morte le incontrava per la pubblica via, veniva immediatamente graziato. Lo storico greco Plutarco ci ha lasciato una straziante descrizione del corteo funebre che accompagnava la vestale colpevole sino alla sua tomba. Sdraiata su una lettiga funebre e tenuta ferma da una serie di cinghie, la vergine considerata impura procedeva tra la folla. "La portano attraverso il Foro – precisa lo storico – e tutti si ritraggono in silenzio e l’accompagnano muti con una terribile costernazione. Non c’è spettacolo più agghiacciante, né giorno più lugubre per la Città". Nel sepolcro sotterraneo si trovavano una tavola imbandita, una fiaccola accesa, pane, acqua in un vaso, latte ed olio "come se – spiega Plutarco - si volesse allontanare da sé la colpa di far morir di fame un corpo consacrato ai riti più solenni". Terribile era la sorte di chi si congiungeva con una vestale: lo "stupratore", condotto nel Comizio completamente nudo e con il collo poggiato su una forca, veniva frustato a morte dal Pontefice Massimo.


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