La vita ribelle dell’incontentabile Giulia

Moglie infedele e figlia degenere: il padre Augusto la condannò all’esilio

 

di Annalisa Venditti

Una rigida educazione, a volte, può far più male che bene: a chi troppo è vietato spesso sorge naturale la voglia di trasgredire. Così fu la sorte della bella Giulia, la figlia che l’Imperatore Augusto ebbe da Scribonia. Secondo quanto ci tramanda lo storico Svetonio, il padre crebbe la figlia e le nipoti nell’austerità, abituandole a filare la lana. "Le tenne lontane da qualsiasi contatto con estranei, tanto che una volta scrisse a Lucio Vinicio, un giovane onesto e nobile, dicendogli che aveva agito poco correttamente venendo a Baia per salutare sua figlia". Giovanissima andò in sposa a suo cugino, il diciassettenne Marcello, designato da Augusto erede del suo Impero. Nel giro di poco tempo, a causa di una febbre fulminante, il giovane morì, lasciando un enorme vuoto nel cuore di coloro che tante speranze avevano riposto in lui. Dinanzi alla figlia dell’Imperatore, che sin dalla più tenera età aveva mostrato un’indole piuttosto ribelle, si presentò la necessità di un matrimonio "politico". Solo in quest’ottica si possono comprendere le nozze che il padre le impose con il generale Agrippa, un uomo sicuramente potente, ma con il doppio dei suoi anni. Da questa "oculata" unione, durata dieci anni, nacquero cinque figli. Giulia, poco appagata da un matrimonio a cui era stata costretta, si consolò tra le braccia di Sempronio Gracco, secondo lo storico Tacito, un uomo "di nobile famiglia, intelligente e dotato di una grande eloquenza". Le malelingue si sbizzarrirono. Qualcuno arrivò al punto di chiederle come mai, nonostante i numerosi tradimenti, i suoi figli somigliassero tutti ad Agrippa. La bella e scellerata Giulia rispose per le rime: "Non prendo mai nessuno a bordo - dichiarò – se non quando la nave è piena". Fuor di metafora, "meglio aspettare di essere incinta per divertirsi un po’". Alla morte di Agrippa fu ancora una volta Augusto a decidere le sorti della figlia. Quale marito trovare per una donna viziata e dai trascorsi turbolenti? La scelta cadde su Tiberio, figlio di primo letto di Livia, seconda moglie di Augusto. L’incontentabile Giulia andava così in sposa al suo fratellastro, costretto dal volere dell’Imperatore a sciogliere il suo felicissimo matrimonio che già gli aveva donato un erede. Le premesse della forzata unione tra Giulia e Tiberio non furono buone e non c’è dunque da stupirsi se da lì a poco i due arrivarono ai ferri corti. Prima letti separati, poi il trasferimento di Tiberio a Rodi. L’assenza del coniuge consentì a Giulia di soddisfare ogni sua voglia. A chi le rimproverava il suo eccessivo lusso, al contrario della frugalità a cui era abituato il padre, ella, decisa, ribatteva: "Lui si dimentica di essere Cesare, ma io mi ricordo di essere la figlia di Cesare". Tanti furono i suoi amanti ed a lungo la sua deprecabile condotta fu tollerata dal padre. Ma qualcosa di grave ed insopportabile, che davvero ci resta difficile comprendere, dovette spingere l’Imperatore ad esiliarla nell’isola di Ventotene, allontanata da Roma come una nemica dell’ordine pubblico. Augusto non mostrò alcuna pietà ed un giorno disse: "si mescoleranno l’acqua ed il fuoco, prima che possa tornare a Roma".


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