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Quel diavolo di pontefice nel quadro di Guido Reni

di Cinzia Dal Maso

 

A via Veneto, a breve distanza da piazza Barberini, sorge la chiesa di S. Maria della Concezione, fatta edificare nel 1624 dal cardinale Antonio Barberini, cappuccino e fratello del pontefice Urbano VIII (1623-44). Sull’altare della prima cappella a destra è esposto uno splendido dipinto ad olio su seta raffigurante "San Michele che abbatte il demonio". Fu eseguito intorno al 1635, su commissione del cardinale Barberini, dal bolognese Guido Reni, uno dei massimi esponenti del classicismo, famoso anche per il suo carattere stravagante. Era molto ricco ed avvenente. Aveva estrema cura del suo aspetto, ma viveva nella continua paura di essere avvelenato. Amava il gioco d’azzardo ed era capace di passare delle intere notti a giocare a carte. Il suo Arcangelo Michele è un giovinetto di rara bellezza, forte e delicato al tempo stesso. Con la spada sguainata respinge all’inferno un corrucciato diavolo, di cui calpesta il capo con il piede diafano. Il quadro suscitò l’ammirazione dei contemporanei, ma anche un vespaio di polemiche.

Occorre ricordare, infatti, che tra le famiglie romane di quel periodo spiccavano i Barberini ed i Pamphili, sempre in competizione tra loro per affermare il proprio prestigio.

Secondo quanto si racconta, Guido Reni aveva saputo che il cardinale Giovanni Battista Pamphili, il futuro papa Innocenzo X (1644-55), lo aveva in qualche modo offeso o diffamato, per cui aveva messo in atto una subdola vendetta.

L’artista avrebbe inserito il ritratto del cardinale Pamphili sulla tela della chiesa di via Veneto, precisamente nel volto contratto da una smorfia di dolore di Satana, schiacciato da piede dell’Arcangelo Michele. In effetti, la somiglianza può essere verificata confrontando il demonio nel quadro del Reni con il ritratto di Innocenzo X del Velazquez: stesso volto altezzoso, uguale fronte stempiata, simile persino il taglio della barba. Una tale mancanza di rispetto per un Pamphili, inoltre, avrebbe certo fatto piacere al committente dell’opera, appartenente alla famiglia rivale dei Barberini.

Sembra che all’esposizione del quadro nella chiesa, il Cardinale avesse vivamente protestato. L’artista si sarebbe limitato ad ammettere l’analogia dei tratti somatici, giustificandosi in modo alquanto bizzarro. Secondo la sua versione, egli conosceva il reale aspetto di Satana, rivelatogli da un’apparizione, e non avrebbe fatto altro che riprodurlo fedelmente. Non era certo colpa sua se il Cardinale gli somigliava in modo imbarazzante!

Quando Giovanni Battista Pamphili salì al soglio pontificio, nel 1644, Guido Reni era già morto da due anni e ormai al sicuro da qualsiasi possibile vendetta.

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