A piazza della Minerva l’elefante della discordia

 

 

di Antonio Venditti

Nell’area circostante la chiesa di S. Maria sopra Minerva, verso la fine del 1665, nel giardino maggiore del convento dei Domenicani, venne alla luce un obelisco di granito rosa, alto m. 5,47, con i geroglifici sulle quattro facciate, ottimamente conservato.

Sul posto si precipitò lo studioso padre Kircher per interpretare i geroglifici: una lettura che pochi mesi dopo affidava alle stampe, dedicandola ad Alessandro VII (1655-67), da cui ebbe l’incarico di curare l’estrazione dell’obelisco con lo scopo evidente di un nuovo innalzamento, probabilmente nella piazza antistante la chiesa, considerato che i Domenicani vantavano la proprietà sul rinvenimento.

Una conferma proviene da un progetto in cui l’obelisco appariva poggiato su sei monti (simbolo di papa Chigi), circondato da quattro cani con una falce in bocca, in riferimento all’ordine dei Domenicani, in latino "Dominicanes", ossia "Domini canes", "i cani del Signore", termine che ne sottolineava la fedeltà.

Della raccolta dei disegni chigiani conservati nella Biblioteca Vaticana fanno parte dieci progetti per l’erezione dell’obelisco di piazza della Minerva, di cui soltanto tre sono autografi di Gian Lorenzo Bernini, mentre gli altri con tutta probabilità appartengono alla sua bottega.

Dall’esame dei disegni berniniani per l’obelisco della Minerva, compresi quelli dei suoi collaboratori, il più consono all’artista è certamente quello con l’Ercole che, piegato su se stesso, sostiene l’obelisco. Allora, c’è da chiedersi perché Bernini scelse di realizzare un progetto con un elefante immobile, reso ancora più statico dalla pesante gualdrappa, che altera completamente il valore plastico della costruzione. La spiegazione è data dall’interferenza nella realizzazione del monumento del domenicano padre Paglia – tale da essergli attribuito totalmente il progetto da una fonte contemporanea - e indirettamente da un suo lontano confratello, il domenicano Francesco Colonna, il quale aveva pubblicato un bizzarro libro, "Hypnrotomachia Poliphili" (la battaglia d’amore in sogno di Polifilo) in cui, con un linguaggio insolito e con una grande abbondanza di bellissime incisioni, narrava il sogno di un certo Polifilo e del suo viaggio fantastico nel corso del quale si era imbattuto in un elefante di pietra che reggeva un obelisco. Sotto la pancia dell’elefante era sistemata una base quadrangolare, larga quanto l’obelisco piantato sull’animale, la quale, pur avendo geroglifici sulle facciate, non costituiva affatto il proseguimento dell’obelisco, ma era di supporto al ventre dell’elefante.

La prima edizione della Hypnerotomachia, uno dei primissimi libri stampati in Italia, era stata pubblicata a Venezia nel 1499 dal famoso tipografo-editore Aldo Manuzio.

Quanto Bernini si sia ispirato a quest’opera lo si può intuire confrontando il suo monumento con l'illustrazione tratta dalla prima edizione del testo.

Bocciato il progetto con il gigante che sorregge l’obelisco, anche per l’avversità del domenicano, il Bernini presentò il suo elefantino col vuoto sotto. Ed ecco entrare nuovamente in scena padre Paglia con "in mano" il libro dell’antico suo confratello, da cui è certamente derivata l’idea dell’elefante, insieme a quella di un basamento sul quale venisse sovrapposto il peso "a perpendicolo" dell’elefante, altrimenti il monumento non sarebbe stato "solido né durabile".

Il Bernini si oppose a questa modifica, avendo già realizzato altre opere nelle quali elementi pesanti gravavano su spazi vuoti, come per l’obelisco sulla Fontana dei Fiumi a piazza Navona, al di sopra di uno scoglio traforato sulle quattro facciate, simile ad un’immensa caverna.

Bernini, però, dovette cedere: l’obelisco apparteneva ai domenicani e doveva essere eretto dinanzi alla loro chiesa secondo i motivi più vicini ai suggerimenti provenienti dal libro del padre Colonna.

L'artista, allora, tentò di mascherare il cubo di pietra scolpendovi una gualdrappa, traendo ispirazione da quella disegnata nel libro del Colonna, che scendeva fino a terra. Per di più cesellò gualdrappa e sella press’a poco con gli stessi motivi descritti dal Colonna.

Affidata l’esecuzione allo scultore Ercole Ferrata, suo allievo, venne fuori nel 1667 un piccolo elefante statico e pesante, quasi antistorico dal punto di vista del processo artistico berniniano. Per questa ragione, dopo il suo innalzamento nella piazza, la gente cominciò a chiamarlo "Porcino della Minerva", nome che cambiò in seguito con quello di "Pulcino", forse per un semplice motivo fonetico: nel dialetto romano pulcino è pronunciato "purcino", un suono molto simile al soprannome della statua.

Non mancò, però, la vendetta di Bernini nella versione definitiva del monumento: l'elefante si presentò rivolgendo il dorso verso il convento domenicano e con la coda leggermente spostata, come volesse salutare padre Paglia e gli altri domenicani in un modo scurrilmente"sonoro"!

L’unione tra l'elefante e l'obelisco assume un significato simbolico e religioso. L'obelisco rappresenta la saggezza antica, mentre l'elefante, il più forte degli animali, è il simbolo della pietà, dell'intelligenza e dell'equilibrio della mente. La spiegazione e data da due iscrizioni fatte incidere da Alessandro VII alla base del monumento.

L’obelisco è il più piccolo di Roma. Fu realizzato in Egitto ai tempi del faraone Aprie nel 589-570 a. C. e sorgeva a Sais, città del basso Egitto. Nei suoi geroglifici, ai quattro lati, ricorda l’ultimo libero Faraone Uahabra della dinastia XXVI, l’Hofra della Libia, alleato di Sedecia, re di Giuda, contro il re di Babilonia, Nabucodonosor.

Trasportato a Roma durante l’Impero, ornava il Tempio di Iside e Serapide a Campo Marzio.

Una interpretazione del tutto originale sul progetto del Bernini con un elefante a sostegno dell’obelisco è stata formulata da Costantino Maes. Lo studioso di "curiosità romane" scriveva: "inviato nel 1665 da Luigi XIV, mentre attraversava la Francia, tanta era la fama del suo nome, che (Bernini) per ogni città ove passava accorreva il popolo a vederlo; del che l’artista seccato, soleva dire: ‘E che! sono forse diventato una bestia rara, un elefante?. Tornato in Roma, annoiato della Corte francese e della sua parte di elefante, volle eternare la memoria delle noie patite e del fardello insopportabile sostenuto di servire in terra straniera, con questo monumentino, ove l’elefante rappresenta Bernini, e l’obelisco le noie che egli sopportò’.


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