Un luogo ameno, immerso nel verde,
vicino alla riva destra del Tevere, ideale per incontri romantici, sosta
confortante per i viandanti che si accingevano a raggiungere Roma attraverso la
Porta del Popolo e la via Flaminia, tutto ciò sembra suggerirci l'incisione di
G.B. Falda del XVII secolo sulla fonte dell’Acqua Acetosa: "Un luogo quasi
sacro e ricco di virtù cui dover dare una buona immagine". Una pianta
settecentesca del Vasi comprende anche la sponda tiberina e la via che conduce a
Roma.
L’Acqua venne conosciuta per la
prima volta verso la metà del secolo XVI, come narra Andrea Bacci (1524 – 1603),
celebre medico del tempo, archiatra pontificio, professore di botanica e
farmacologia a Roma, che inserì la notizia nel discorso sulle Acque Albule,
pubblicato nel 1567, specificatamente nel libro VI della sua opera, intitolatas
"de Thermis". Dal tipico sapore acidulo derivò il nome dell’Acqua.
Paolo V Borghese (1605-1621) nel
1613 ordinò che venisse esaminata dai fisici, che ne riconobbero le
caratteristiche salubri e medicinali, adatte all’uso pubblico.
Nello stesso anno il Pontefice
fece costruire una semplice fontana in aperta campagna, presso Tor di Quinto,
nel luogo in cui scaturiva questa sorgente di acqua acidulo-ferruginosa,
ritenuta "renibus et stomacho spleni iecorique medetur mille malis prodest
ista salubris aqua", come si legge ancor oggi nell’iscrizione, posta entro
il timpano. Con queste parole il Pontefice intendeva elogiare le
proprietà terapeutiche che l'Acqua Acetosa possedeva.
Fu però Alessandro VII Chigi
(1655-1667), conquistato dall’efficacia dell’acqua, a dare maggiore prestigio
alla fonte, facendo erigere nel 1662 l’attuale fontana-ninfeo.
La vicinanza con la via Flaminia e
la Fontana di Giulio III e quella con la Porta del Popolo, su disegno del
Bernini, dovevano essere, secondo Alessandro VII, gli l'elementi da tener
presenti nell’elaborazione del progetto della nuova fontana: un ninfeo, che
quasi sottolineasse la sacralità del luogo, costituito da un'esedra tripartita
alla cui base si disponevano le tre vasche con le rispettive bocche d'acqua,
mentre il coronamento si articolava con un timpano concavo.
Il progetto di quest'opera è stato
per lungo tempo attribuito al Bernini per i riferimenti stilistici con Porta del
Popolo. Si tratta, però, di un’attribuzione molto discussa. Si pensa che il
progetto sia stato opera di Andrea Sacchi, che delegò la stesura dei disegni
all'architetto Marco Antonio De' Rossi. Entrambi morirono prima della
conclusione dei lavori, che furono portati a termine dal pittore Legendu.
Anche Clemente XI si interessò
alla fonte dove nel 1712 fece eseguire opere di risanamento e pulitura delle
condutture, avendo riscontrato durante l'inverno che la fonte veniva invasa
dalle acque del Tevere. L’intervento è ricordato da un'epigrafe e da una serie
di scale metriche poste in più punti per misurare la variazione del livello e la
quantità d'acqua penetrata nella fontana. Un ulteriore restauro fu dovuto anche
a Pio VII Chiaramonti (1800-1823).
Ancora prima dell'interesse dei
Papi e dei principi, le virtù della fonte erano state scoperte dal popolo,
solito scegliere la zona come meta di allegre scampagnate fuori porta. Tanto era
gradita e nota l'Acqua da favorirne, a partire dalla seconda metà del XVII sec.,
anche il commercio con la nascita di uno specifico mestiere: quello dell'acquarolo,
che caricava il carretto di fiaschi pieni dell’acqua per rivenderli poi lungo le
vie di Roma, ad un soldo ciascuno. Annunciava il suo arrivo, gridando a
squarciagola: "fresca,
fresca l'acquacetosa, su pijatela sora sposa, quarche bene ve farà..".
Un mestiere ancora attivo a Roma
nell’Ottocento, soprattutto nella primavera avanzata e d’estate.
Durante il suo soggiorno a Roma, a
bere alla Fontana dell’Acqua Acetosa era solito recarsi la mattina, al levar del
sole, Wolfgang Goethe
una
fonte d’acqua acidula, molto efficace in questo clima".
L’Acqua Acetosa fu anche luogo
ideale per soste romantiche. Famose sono rimaste quelle del principe ereditario
di Baviera, il futuro Ludovico I, che nella prima metà dell’Ottocento vi
incontrò, in una in una delle sue abituali gite, la bella Marianna Florenzi,
marchesa perugina, amata con passione ardente, nonostante fosse già sposato. Per
rendere ancora più confortevoli i loro incontri, Ludovico fece piantare anche
degli olmi a coronamento - che ancor oggi ombreggiano il luogo - e volle porre
sul bordo esterno, al disotto dell’idrometro, due panchine in pietra, tuttora
esistenti, come ricorda l’iscrizione in tedesco e italiano, dettata dallo stesso
Ludovico I.
Del resto, come scriveva nel 1849
il Nibby, nella "Carta de’ dintorni di Roma", il percorso per giungere alla
fonte era uno dei più suggestivi che la Campagna Romana potesse offrire:
"A questa fonte conduce
direttamente da Roma una strada che diverge a destra della via Flaminia circa un
mezzo miglio fuori di porta del Popolo nella contrada denominata Papa Giulio:
passa dinanzi la villa magnifica di Giulio III insigne lavoro del Vignola, ed
entra sotto il fornice che serve di tramite alle due parti di quella villa, e
che suoi chiamarsi l’Arco Oscuro, e di là a traverso vigne giunge a questa
sorgente. Da questo luogo seguendo la ripa del Tevere si va a sinistra al ponte
Molle: a destra dopo un miglio si raggiunge il confluente dell’Aniene nel
Tevere, e presso di esso il sito di Antemne, il ponte e la via Salaria, e di là
dal ponte Salario il campo di battaglia di Tullo Ostilio, e la distrutta città
di Fidene".
Immersa nell'asfalto, non più
circondata da prati, senza fondali di verde, la Fontana oggi appare abbandonata
a se stessa dopo un lungo periodo di inattività, essendo stata giudicata
inquinata da scoli vari. Attualmente si presenta restaurata, ma non getta più la
famosa Acqua. Fornisce sollievo ai rari passanti offrendo semplice acqua
potabile.