Una “Monaca di Monza” nella Roma del Settecento

Tragico epilogo di una storia d’amore nel convento di Tor de’ Specchi

 

 di Annalisa Venditti

La triste storia della Monaca di Monza è forse quella che più rimane impressa nella memoria dei lettori dei Promessi Sposi. Sarà il gusto per l’intrigo o per la situazione peccaminosa, fatto sta che il romanzesco amore della sventurata Gertrude, costretta alla vocazione da un padre crudele ed intransigente, è di gran lunga preferito alle pie, seppur contrastate, nozze di Renzo e Lucia. Nella Roma del Settecento si consumò un dramma per certi aspetti simile, con un finale tuttavia diverso. Protagonista è una giovane altrettanto sciagurata, Fulvia Ciancaleoni. La ragazza era nata dalla violenza compiuta da un nobile arrogante ai danni di una povera donna del rione Monti. Soltanto in punto di morte e dinanzi alle insistenze del padre confessore, il Ciancaleoni aveva accettato di riconoscere la creatura, frutto del vile oltraggio. L’innocente Fulvia, di lì a qualche tempo, perse anche il suo unico affetto, la madre, e grazie alla raccomandazione di un alto prelato fu teneramente accolta dalle monache di clausura nel convento dell’Oblate di Tor de’ Specchi. La ragazza crebbe circondata dall’affetto e dalle premure delle suore e delle novizie, iniziando così il cammino che l’avrebbe portata a sposare la causa del Signore. La vocazione, tuttavia, pareva non bussare alla sua porta ed al candido abito della conversa tardava ad aggiungersi il velo della sposa di Cristo. Nella Settimana Santa del 1767 accadde un fatto destinato a sconvolgere la sua vita. Le oblate di Tor de’ Specchi realizzavano ogni anno il più bel Sepolcro della città, tante erano le varietà dei fiori utilizzati e l’amore con cui veniva allestito nell’oratorio del monastero. La devozione richiamava un gran numero di fedeli ed il caso volle che quell’anno intervenisse anche un giovane di belle speranze, il nobile romano Paluzzo Astalli. Tra il fumo dei ceri e l’odore forte dei fiori freschi, gli sguardi dei due ragazzi si incontrarono e fu subito amore. Paluzzo Astalli, folgorato da quella candida visione, le si avvicinò e per conoscere il suo nome usò un piccolo stratagemma: le disse che avrebbe voluto indirizzare direttamente a lei i fiori destinati ad adornare l’altare dell’oratorio. Splendidi mazzi giunsero nei giorni seguenti, insieme a dolcissimi messaggi d’amore. Iniziò tra i due una tenera ed appassionata corrispondenza. Paluzzo non riusciva ad aspettare oltre e deciso a fuggir via con Fulvia, si affrettò a porre in atto uno scellerato piano. Informata la ragazza, si chiuse in un baule che sarebbe stato recapitato al convento: l’unico modo per arrivare all’amata e decidere con lei il da farsi. Disgraziatamente il destino volle che il facchino fosse colpito da un malore ed il baule, consegnato in ritardo, venne lasciato nella cantina del monastero. Quando il giorno dopo le monache lo aprirono, furono prese dal terrore: il corpo di Paluzzo giaceva ormai senza vita, ucciso da troppo amore. Alla povera Fulvia, tormentata dai sensi di colpa, non rimase che il conforto della Chiesa e così finalmente si fece suora.


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