La povera sora Giulia ha perso il cane

di Cinzia Dal Maso

 

Da sempre via del Corso è stata una passerella per figure maschili e femminili, stravaganti, bizzarre, il più delle volte espressioni della miseria e della solitudine.

Agli inizi del Novecento era facile incontrare lungo il Corso un anziana donna in compagnia di un cane giallo di media taglia e di razza incerta, vestita con abiti lisi, che, nonostante le numerose "patacche", tradivano un remoto splendore. Il viso assalito dagli anni era "ravvivato" da accese pennellate di rosso e blu. Il suo vistoso ancheggiare attirava la curiosità dei passanti e immancabilmente quella dei ragazzi che si divertivano ad apostrofare lei e il suo cane con le più salaci parole. Era la "sora Giulia der cane". Eppure la sora Giulia aveva avuto un passato "normale". Nata a Roma, era figlia di un professore di lettere benestante. Si era sposata con un notaio, molto più anziano di lei, che, però, non consumò mai le nozze. Un trauma per Giulia Mercuri, che cominciò a dare segni di vero squilibrio. Rimasta vedova, si dedicò ai cani, forse per colmare il vuoto dei figli o per ricercare affetto e fedeltà, qualità rare tra le creature umane. La cospicua dote le permise per lungo tempo di vivere agiatamente, seppure in solitudine, con il suo fido Alì. Dapprima alloggiò in via dei Giubbonari, poi in via Fabio Massimo presso una famiglia amica. Quando le sue sostanze furono esaurite, la sora Giulia poté contare soltanto di un’assicurazione sulla vita di 50mila lire per poter vivere.

Durante la passeggiata quotidiana stava sempre sul chi vive, pronta a prevenire il possibile attacco dei giovinastri con una sequela di parolacce tipicamente romanesche, sostenuta sempre dall’abbaiare innocuo del cane, che suscitava ilarità e sfociava non poche volte in una gazzarra. Fu rinchiusa per alcuni mesi in un manicomio e di Alì non ebbe più notizia.

Scriveva il poeta romanesco Giulio Cesare Santini: " Lei se lo piagne come fusse morto / e annerebbe dar Re ner Quirinale / pe’ vede’ de riavé quell’animale, /pe’ poté vennicà quer boia torto. / Adesso gira le giornate sane, insurta l’ispettori, urla, fa scene, / povera sora Giulia senza cane! / E poro er cane, mò che sta diviso, / chissà che soffre! Je voleva bene / perché la bestia mica guarda er viso.

La sua ultima esibizione avvenne nel 1908 in via Capo le Case, all’angolo con via Tomacelli, dove, per sfuggire a dei ragazzacci, cercò di rifugiarsi in un negozio, un tentativo inutile: cadde rompendosi il femore. Venne ricoverata al San Giacomo dove morì a 78 anni.

 

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