L’ingresso del lotto in Italia può datarsi al XVI secolo ad opera di un patrizio
genovese, Benedetto Gentile ed è da collegare alle scommesse praticate a Genova
in occasione del rinnovo semestrale dei 5 membri dei Serenissimi Collegi,
sorteggiati fra 120 nomi, ridotti poi a 90 - come i numeri del lotto - messi in
una urna detta “seminario”.
Da
Genova, il lotto arrivò a Roma, ma venne proibito da Innocenzo XI nel 1685
e da Innocenzo XII nel 1696. Fu consentito da Clemente XI
(1700-21) e da Innocenzo XIII (1721-24), venne
proibito in perpetuo da Benedetto XIII nel 1725 per essere poi confermato da
Clemente XII (1730-40) e di nuovo abolito perché i romani continuavano
a puntare sui lotti “ esteri “,
tanto che il papa si servì persino della scomunica.
L’estrazione
del nuovo lotto avvenne giovedì 14 febbraio 1732 in cima allo scalone del
Palazzo capitolino. In principio, si tennero 9 estrazioni l’anno, sempre il
giovedì. Dal Diario di Roma del 2 febbraio 1743 sappiamo che la loggia
della Curia Innocenziana, ossia del Palazzo di Montecitorio, fu la nuova sede
per l’estrazione dei numeri del lotto.
A Roma, come
a Napoli, il lotto fu espressione di fede popolare mista a superstizione. Numeri
sicuri si ottenevano recitando una novena a Sant’Alessio o a San Pantaleone che
si credeva andasse di persona in casa delle postulanti, oppure piantando 90
chicchi di grano in un vaso di terra raccolta accanto alla croce di San Lorenzo.
Anche dai frati zucconi o torzoni (i conversi) si potevano avere numeri
vincenti.
Gli astri
erano una fonte di ispirazione: le stelle vicine alla luna annunziavano numeri
bassi, quelle lontane numeri alti. Perfino le esecuzioni capitali costituirono
ottimi spunti per i numeri da giocare, naturalmente effettuando dei precisi
riti, come correre di notte davanti alla chiesa di S. Giovanni decollato -
dove si seppellivano i giustiziati pentiti - o al Muro Torto - dove si buttavano
i corpi degli impenitenti – recitando delle preghiere. Occorreva, però,
tradurre in numeri da giocare i segni delle anime, attraverso il “Libro
dell’Arte” o dei sogni. Indossare la camicia di un giustiziato dava la
certezza di una sua apparizione in sogno e dei numeri fortunati.
Nel
1811, durante la dominazione francese, le estrazioni furono spostate
nell’abside della SS. Concezione a Campo Marzio, ma il 5 novembre 1841 Pio VI le
riportò a Montecitorio.
I proventi
del lotto furono utilizzati in un primo tempo per le doti delle zitelle povere,
poi per utilità pubblica.
Gli ebrei erano obbligati dal Governo
Pontificio a giocare serie di numeri delle prime decine, senza alcuna
combinazione, per il timore che avessero la facoltà di prevedere le estrazioni.
Per avere fortuna al lotto i cristiani tenevano in tasca un
trifoglio o due denti
legati con un filo di
seta sbavato da una lumaca, oppure in casa una lucertolina
appena nata o con due code, o il corno di un bufalo macellato secondo le
norme ebraiche e tenuto una notte all’aria aperta.
I numeri, contenuti in un’urna d’argento, “terrina”,
venivano estratti da un orfanello, chiamato dai romani “roffianello”,
perché sospettato complice dell’Impresa pontificia
de’ Lotti.
Dal 1814, le estrazioni furono 48 l’anno,
24 a Roma e 24 sui lotti toscani i cui risultati arrivavano la domenica o il
lunedì. L’estrazione si faceva il sabato mezzogiorno, ma veniva anticipata al
venerdì se il sabato era festivo.
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