Nei pressi di viale Libia, c’è un
grosso rudere corroso e semidistrutto: la "Sedia del Diavolo". In effetti, si
tratta di un antico sepolcro romano della prima metà del II secolo d.C.,
appartenuto a Publio Elio Callistio, un liberto di Adriano e Sabina. Era un
elegante edificio costruito in mattoni rossi e gialli, con una nicchia centrale
per una statua di divinità e aperture più piccole per le urne cinerarie,
decorato da fregi in terracotta e pavimenti in mosaico. Le ingiurie del tempo lo
hanno rovinato a tal punto da farlo assomigliare ad un sinistro trono, degno del
principe del male. Nei secoli scorsi, chi passava in quei pressi di notte, si
convinceva ancora di più della presenza demoniaca, vedendolo lampeggiare e
risplendere di bagliori rossastri. Se qualcuno avesse, però, avuto l’ardire di
guardare dentro, avrebbe scoperto l’origine delle luci: si trattava di fuochi
accesi dalle prostitute in attesa di clienti o da briganti di passaggio, che vi
trovavano un momentaneo riparo. Negli anni ’50 gli abitanti del quartiere
diedero vita ad una vera e propria sollevazione popolare, riuscendo ad ottenere
che l’amministrazione comunale mutasse il nome della piazza, dedicandola non più
alla "Sedia del Diavolo", ma a "Publio Elio Callistio". |