I luoghi del piacere nell’antica Roma

Città del sesso a pagamento, tra prostitute, lenoni, bordelli e clienti

di Annalisa Venditti

 

"Ti dirò ora dove puoi trovare, con facilità, gli uomini che cerchi, pervertiti o virtuosi, onesti o truffatori. Vuoi incontrare uno spergiuro? Vai alla tribuna delle arringhe. Un bugiardo o un fanfarone? Avvicinati al tempio di Venere Cloacina. I mariti ricchi, prodighi del loro denaro? Li troverai presso la Basilica. Là incontrerai anche puttane avvizzite e coloro che prendono a noleggio il loro corpo per contratto".

E’ questo il quadro, colorato e vivissimo, che ci ha lasciato il grande Plauto dell’umanità indaffarata e dedita al piacere che si aggirava per i luoghi del Foro romano, cuore politico, economico e culturale della città antica. Nel chiasso che animava il centro di Roma si potevano scorgere "insolenti, pettegoli, gelosi e tutti quelli che dicono male del prossimo, nonostante si potrebbe dire molto di loro".

Secondo Plauto, nella via dei Toscani c’erano gli uomini che esercitavano il meretricio, mentre nella zona del Velabro, accanto a fornai, macellai e chiromanti, si trovavano prostitute e procacciatori. Il sesso a pagamento era ammesso sia per le strade che in luoghi chiusi. I bordelli si chiamavano lupanari, dal nome che veniva dato alle prostitute, "le lupe", ed erano diffusi in tutta la città: nei quartieri popolosi e malfamati come la Suburra, sull’Aventino, in Campo Marzio, vicino al Circo Massimo ed in aperta campagna. Pare che l’imperatore Domiziano, da buon politico, dopo il suo trionfo sui Germani, avesse lanciato sulla folla in festa dei gettoni, buoni omaggio da utilizzare nei lupanari: un dono gradito, soprattuto per chi non poteva abitualmente concedersi questo piccolo lusso. I prezzi delle cortigiane variavano a seconda dei casi: con due assi, il costo di due bicchieri di vino, si poteva consumare un rapporto con una meretrice di bassa lega, mentre il compenso saliva vertiginosamente se ci si rivolgeva a rinomate dispensatrici d’amore.

Musiciste, cantanti e ballerine lavoravano direttamente a domicilio ed allietavano, alla maniera greca, i banchetti dei Romani. I più facoltosi potevano noleggiare per un periodo di tempo, attraverso la stipula di un contratto giuridicamente valido, giovani e belle donne. In un passo della "Asinaria" di Plauto, tra le diverse condizioni, leggiamo: "che la prostituta personalmente non inviti nessuno a cena. Che non getti gli occhi su qualche commensale. Che beva insieme con te e come te nella stessa coppa. Che riceva la coppa dalle tue mani e beva alla tua salute. Per allontanare ogni sospetto, alzandosi dalla tavola, essa non deve sfiorare il piede di nessun invitato. Per salire e scendere dal letto non dia la mano ad alcuno. Che non faccia ammirare i suoi anelli".

I lenoni, coloro che gestivano gli affari del meretricio, erano ritenuti individui di infimo genere e spesso furono oggetto della satira degli scrittori latini. Così in Plauto troviamo una divertente filastrocca di insulti rivolta ad uno di questi procacciatori del sesso, apostrofato "magnaccia fetente, porco impastato di fango, sporcaccione, infame, fuorilegge e privo di fede, calamità pubblica, sciacallo sempre in cerca del nostro denaro, pezzente, ladro e predone".

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