"Ti dirò ora dove puoi trovare, con facilità, gli uomini che
cerchi, pervertiti o virtuosi, onesti o truffatori. Vuoi incontrare uno
spergiuro? Vai alla tribuna delle arringhe. Un bugiardo o un fanfarone?
Avvicinati al tempio di Venere Cloacina. I mariti ricchi, prodighi del loro
denaro? Li troverai presso la Basilica. Là incontrerai anche puttane avvizzite e
coloro che prendono a noleggio il loro corpo per contratto".
E’ questo il quadro, colorato e vivissimo, che ci ha lasciato
il grande Plauto dell’umanità indaffarata e dedita al piacere che si aggirava
per i luoghi del Foro romano, cuore politico, economico e culturale della città
antica. Nel chiasso che animava il centro di Roma si potevano scorgere
"insolenti, pettegoli, gelosi e tutti quelli che dicono male del prossimo,
nonostante si potrebbe dire molto di loro".
Secondo Plauto, nella via dei Toscani c’erano gli uomini che
esercitavano il meretricio, mentre nella zona del Velabro, accanto a fornai,
macellai e chiromanti, si trovavano prostitute e procacciatori. Il sesso a
pagamento era ammesso sia per le strade che in luoghi chiusi. I bordelli si
chiamavano lupanari, dal nome che veniva dato alle prostitute, "le lupe",
ed erano diffusi in tutta la città: nei quartieri popolosi e malfamati come
la Suburra, sull’Aventino, in Campo Marzio, vicino al Circo Massimo ed in
aperta campagna. Pare che l’imperatore Domiziano, da buon politico, dopo il suo
trionfo sui Germani, avesse lanciato sulla folla in festa dei gettoni, buoni
omaggio da utilizzare nei lupanari: un dono gradito, soprattuto per chi
non poteva abitualmente concedersi questo piccolo lusso. I prezzi delle
cortigiane variavano a seconda dei casi: con due assi, il costo di due bicchieri
di vino, si poteva consumare un rapporto con una meretrice di bassa lega, mentre
il compenso saliva vertiginosamente se ci si rivolgeva a rinomate dispensatrici
d’amore.
Musiciste, cantanti e ballerine lavoravano direttamente a
domicilio ed allietavano, alla maniera greca, i banchetti dei Romani. I più
facoltosi potevano noleggiare per un periodo di tempo, attraverso la stipula di
un contratto giuridicamente valido, giovani e belle donne. In un passo della
"Asinaria" di Plauto, tra le diverse condizioni, leggiamo:
"che la
prostituta personalmente non inviti nessuno a cena. Che non getti gli occhi su
qualche commensale. Che beva insieme con te e come te nella stessa coppa. Che
riceva la coppa dalle tue mani e beva alla tua salute. Per allontanare ogni
sospetto, alzandosi dalla tavola, essa non deve sfiorare il piede di nessun
invitato. Per salire e scendere dal letto non dia la mano ad alcuno. Che non
faccia ammirare i suoi anelli".
I lenoni, coloro che gestivano gli affari del meretricio,
erano ritenuti individui di infimo genere e spesso furono oggetto della satira
degli scrittori latini. Così in Plauto troviamo una divertente filastrocca di
insulti rivolta ad uno di questi procacciatori del sesso, apostrofato
"magnaccia fetente, porco impastato di fango, sporcaccione, infame, fuorilegge e
privo di fede, calamità pubblica, sciacallo sempre in cerca del nostro denaro,
pezzente, ladro e predone".