Quella di
imbalsamare i corpi dei pontefici defunti e di conservarne a parte le viscere fu
un’usanza praticata per secoli, abolita soltanto da Pio X (1903-1914). Ma dove
andavano a finire questi organi interni, chiamati “precordi”? In una
chiesa di fronte alla Fontana di Trevi, dedicata ai Santi Vincenzo e Anastasio,
che fu la parrocchia del Quirinale, dimora papale fino al 1870. Sono chiusi in
urne di porfido, gelosamente conservate dietro l’abside, in una cappella
sotterranea fatta costruire nel 1756 da Benedetto XIV. Appartengono a ventitré
pontefici, da Sisto V (1585-90) a Leone XIII (1878-1903), ricordati da due
lapidi. Come sappiamo da Gaetano Moroni, la sera stessa dell’imbalsamazione, i
precordi erano solennemente portati nella chiesa dal cappellano segreto del
papa, che viaggiava in carrozza, accompagnato da un palafreniere a piedi e con
le torce accese.
Una simile
curiosità non poteva sfuggire a Giuseppe Gioacchino Belli, che dedicò un sonetto
alla chiesa di “San Vincenz’e Satanassio”, dove si trovano “li pormoni,
er core, er fédigo, la mirza e le budella” papali, sistemati
“in una specie de cantina ch’è un museo de corate e de ciorcelli”.
In questa stessa cripta fu sepolto
Vincenzo Poggioli, il tipografo che aveva stampato, in tutto segreto, la
scomunica di Pio VII contro Napoleone.
Innocenzo XI (1676-1689), invece, stabilì
che i suoi “precordi” fossero seppelliti in un altro luogo della chiesa,
nella cappella in cui si trova un affresco frammentario trecentesco, la Vergine
delle Grazie, cui era particolamente devoto.
L’aspetto attuale della chiesa è frutto di
un rifacimento seicentesco, finanziato dal cardinale Giulio Mazzarino, primo
ministro di Francia dalla morte del cardinale Richelieu. La facciata, opera di
Martino Longhi il Giovane (1602-1660) fu iniziata nel 1646 ed era quasi
completamente ultimata per il Giubileo del 1650. E’ uno dei capolavori
dell’architettura barocca, con gli effetti dinamici e chiaroscurali determinati
dalle sedici colonne corinzie a tutto tondo che le hanno causato l’irriverente
soprannome di “canneto del Longhi”. Una leggenda priva di fondamento
vuole che la testa femminile nel timpano sopra al portale sia il ritratto di
Ortensia Mancini, bellissima nipote del cardinale Mazzarino, nota per le sue
storie d’amore, ma nata solo nel 1666, quando la facciata doveva essere già
finita da un pezzo.
Ai lati del
secondo piano sono posti due superbi nudi femminili, in funzione di cariatidi,
con le braccia alzate a sostenere la trabeazione.
Nella parte più
alta del prospetto, due angeli portano in trionfo lo stemma di famiglia del
cardinale Mazzarino.
Nella chiesa fu
sepolto, il 5 aprile 1835, Bartolomeo Pinelli, illustratore della Roma
ottocentesca, come ricorda una lapide posta nell’interno, a fianco
dell’ingresso.
Presso la
colonna all’estrema sinistra della facciata, fu per tanti anni una minuscola
bottega di ciabattino, che risuolava anche i sandali dei frati della chiesa e
perciò era esonerato dal pagare l’affitto.
|