DAL 22/11/2011 AL 22/01/2012
Risorgimento al femminile tra storia e
moda |
"Eroine di stile" a Palazzo Altemps
"Quanto
più si estendono e si approfondiscono le indagini sul nostro Risorgimento, più
vediamo balzar fuori figure di donne", scriveva già nel 1930 Vittorio Cian.
L’apporto femminile al percorso unitario della nazione è stato per troppo tempo
dimenticato dalla storiografia ufficiale, che ha preferito vedere nella donna la
compagna dell’uomo, la madre, la sorella, la sposa, l’amante, piuttosto che la
protagonista degli avvenimenti.
Eppure ci sono
state intellettuali, aristocratiche, donne del popolo, regine e religiose,
combattenti e garibaldine, colme di cuore e di cultura, di istinto e di
passione, accomunate dal sogno unitario.
A queste donne,
artefici di un Risorgimento dimenticato, è dedicata la mostra
"Eroine di stile", a cura di Stefano Dominella, promossa dalla
Provincia di Roma per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, al Museo
Nazionale Romano a Palazzo Altemps fino al 22 gennaio 2012.
Si tratta di un
percorso tutto al femminile, tra storia e moda, in cui compaiono nomi illustri
come quelli di Anita Garibaldi, Cristina di Belgioioso, la
contessa di Castiglione, Maria Sofia di Borbone, ultima regina
di Napoli, ma anche personaggi di straordinaria tempra e carattere come
Enrichetta Caracciolo, Clotilde di Savoia, le brigantesse
Michelina Di Cesare, Filumena Pennacchio
e Maria Oliverio.
L’omaggio al loro
coraggio, all’ambizione, alla determinazione è firmato da grandi maestri della
moda italiana quali Salvatore Ferragamo, Fendi, Max Mara, Roberto Cavalli, Laura
Biagiotti, Valentino, Gianfranco Ferré, Armani, Prada, Ermanno Scervino, Emilio
Schuberth, Galitzine, Romeo Gigli, Gattinoni, Sarli, Missoni, Prada, Emilio
Pucci, Alessandro dell’Acqua, Walter Albini, Biki, Carosa.
di
Cinzia Dal Maso |
DAL 16/11/2011 AL 15/01/2012
A Palazzo Braschi le foto della Repubblica romana
del 1849 |
Il reportage di guerra di Stefano
Lecchi
Trentacinque
immagini sbiadite, trentacinque frammenti di storia, raccontano uno dei momenti
più intensi e gloriosi del nostro recente passato: la difesa della Repubblica
Romana del 1849 dall’assedio dei francesi intenzionati a restaurare il potere
temporale dei Papi, per la quale si immolò la migliore gioventù d’Italia, un
esempio di amor patrio per l’Europa intera. Al Museo di Palazzo Braschi fino al
15 gennaio 2012, le immagini realizzate dal pittore fotografo Stefano Lecchi
costituiscono il primo reportage di guerra. Ci sono i luoghi cari alla nostra
memoria, capaci di evocare un’epopea d’altri tempi e di risvegliare quella che
un mio caro amico e Maestro una volta definì una ferita ancora aperta nella
coscienza civile dei romani. Il Casino dei Quattro Venti ridotto a una maceria
quasi informe testimonia il sacrificio di quanti per tre volte, nella drammatica
giornata del 3 giugno, lo tolsero ai francesi per essere costretti a cederlo
altrettante volte. Fa tornare alla mente i versi eterni di Gabriele D’Annunzio:
"grado per grado, pietra / per pietra, preso e perduto e ripreso / e riperduto
il baluardo orrendo; / accumulati i cadaveri a piè degli agrifogli, dei
balaustri, delle / statue, delle urne; fatto il pendìo riviera / del sangue,
cupo bulicame di membra / lacere; acceso l’incendio; alzato al cielo /
impallidito il clamore supremo / i Legionarii ansanti, arsi di sete / e d’ira,
armati di tronconi e di schegge / neri di fumo e di polvere, belli / e
spaventosi parvero come quelli / che superato avean l’uman potere / con la
scagliata anima (tale il segno / superato è dal dardo veemente) / e respiravan
dai lor profondi petti / piagati l’ansia d’un miracolo ardente".
La mostra "Fotografare la storia. Stefano Lecchi e la Repubblica Romana del
1849" è curata da Maria Pia Critelli della Biblioteca di Storia Moderna e
Contemporanea di Roma e da Anita Margiotta dell'Archivio Fotografico del Museo
di Roma e promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico -
Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale e dalla Biblioteca di Storia
moderna e Contemporanea di Roma.
Per la prima volta
il reportage di Lecchi – ritrovato nel 1997 grazie alle ricerche di Marina
Miraglia - viene presentato nella quasi totale interezza: sono infatti
quarantuno le carte salate da calotipo conservate alla Biblioteca di Storia
Moderna e Contemporanea di Roma, che appartennero ad Alessandro Calandrelli,
triumviro della Repubblica Romana con Mariani e Saliceti, dopo le dimissioni di
Mazzini, Saffi e Armellini. Le immagini, estremamente delicate, per esigenze
conservative sono esposte a 35 lux.
Sono rare e incerte
le notizie sul "pittore-fotografo" Stefano Lecchi, nato intorno al 1805 nel
territorio tra Lecco e Milano e scomparso prima del 1863. Probabilmente faceva
parte dei protofotografi della Scuola Romana di Fotografia, tra cui Frédérich
Flachéron, Eugène Constant e Giacomo Caneva, i quali utilizzarono la nuova
tecnica del calotipo, la prima che permetteva di trarre stampe positive da un
foglio di carta usato come negativo, ed eseguirono le più antiche vedute
fotografiche di Roma. La sua attività nella futura Capitale è attestata dal 1849
al 1859. Le preziose immagini realizzate da Lecchi agli albori della tecnica
fotografica ebbero diffusione soprattutto in ambito garibaldino e conobbero
un’immediata risonanza grazie alla loro traduzione incisoria che consentiva una
più ampia divulgazione rispetto alle prime prove fotografiche. Il fotografo,
consapevole che ciò che stava immortalando sarebbe presto scomparso, ne fissava
l’immagine per tramandarne la memoria e il significato.
In mostra inoltre
una serie di quindici fotografie scattate nell’estate 2011 da Marcello Benassai,
Andrea Sabbadini e Lorenzo Scaramella negli stessi luoghi e, ove possibile, con
le stesse inquadrature delle immagini di Lecchi. Le fotografie contemporanee
sono state accostate, per un confronto immediato, ai relativi ingrandimenti
delle fotografie antiche, "ricostruendo oggi, per quanto possibile, il punto di
vista e le condizioni di luce delle antiche fotografie: un percorso della
memoria che lega gli avvenimenti del passato ad una nuova riflessione sui
mutamenti urbanistici, sociali, culturali della nostra città", come spiega
Simonetta Buttò, direttore della Biblioteca di Storia moderna e contemporanea.
"Quello che è ormai riconosciuto come il primo reportage fotografico di guerra
fu almeno in parte esposto alla grande Mostra del Risorgimento, tenuta a
Roma nel 1911 per celebrare i cinquanta anni dell’Unità d’Italia".
L’esposizione è
completata dal catalogo a cura di Maria Pia Critelli (Palombi editori).
di
Cinzia Dal Maso |
TERMINATA 05/11/2011
Le foto di Marco Bottani al Caffè Letterario di
via Ostiense |
Scatti e riscatto del tricolore
Nel
centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, tra
celebrazioni e feste varie, non poteva mancare un omaggio a uno dei
più forti simboli del nostro Paese, il tricolore. Per quel simbolo i
nostri giovani affrontarono battaglie e morte, carcere e sofferenze.
"Tre colori tra i colori. Scatti e riscatto del tricolore" è un
interessante progetto patrocinato dalla Regione Lazio. Da stasera
alle 19 - quando ci saranno l’inaugurazione e la presentazione alla
stampa - fino al 5 novembre, il Caffè letterario di via Ostiense 95
ospita una ricca selezione di 150 fotografie realizzate da Marco
Bottani, nelle quali i colori nazionali si intrecciano con la realtà
quotidiana. Il Tricolore si svela in contesti inusuali e casuali,
diventando involontario e sorprendente protagonista di una
esposizione curiosa, divertente ed emozionante, che si avvale del
supporto dell’Associazione culturale ArteOltre. L’artista si mescola
tra la vita e le emozioni della gente, scoprendo il bianco il rosso
e il verde in luoghi e in frangesti inusuali e del tutto
inaspettati, in un cantiere o per la strada, attraverso angolazioni
e simbolismi inediti.
Sessanta le opere in mostra per cogliere, rappresentare, ma
soprattutto raccontare la trilogia cromatica della nostra bandiera
in diversi contesti, immortalati nella loro vicinanza sia
intenzionale che casuale: in città e in vacanza, in Italia e
all’estero, nei gesti quotidiani ma anche nelle occasioni ufficiali
e solenni.
Il
progetto, nato da un attento e accurato lavoro fotografico
intrapreso da molti anni, ma formalizzatosi solo nel 2011, vuole
sostenere in modo spontaneo, semplice e universale il sentimento
italiano, senza cadere nella trappola di una scontata retorica.
di
Alessandro
Venditti
|
Con la Panini si
impara divertendosi |
Tornano le figurine
della "Storia del Risorgimento Italiano"
Certo
le maestre da oggi in poi saranno ben felici di far entrare le
figurine nelle aule scolastiche, perché potranno aiutare i bambini a
studiare. E’ infatti arrivata in edicola la riedizione della "Storia
del Risorgimento" della Panini già uscita nel 1969 e nel 1975, un
modo utile e divertente per festeggiare l’anniversario dell’Unità
nazionale.
Nell’album di 32 pagine, troveranno via via posto le 204 figurine
della raccolta, per compiere un affascinante viaggio nel tempo,
dalle società segrete ai moti mazziniani, dalla Repubblica di
Venezia alle Cinque Giornate di Milano, dalle guerre di Indipendenza
alla Repubblica Romana, dalla Spedizione dei Mille alla
proclamazione del Regno d’Italia e a Roma Capitale, tutti i più
importanti avvenimenti trovano posto in questa collezione.
Non
potevano mancare le figurine dei maggiori protagonisti di quegli
anni: ci sono Giuseppe Garibaldi, il Conte di Cavour, ma anche Carlo
Alberto, Pio IX, i fratelli Bandiera, Ciro Menotti, Giuseppe Mazzini
e tanti altri.
Nei
pacchetti si possono trovare anche
24 figurine speciali in raso, che riproducono gli stemmi e
le bandiere delle Nazioni e degli eserciti storici.
"Al
150° anniversario dell’Unità d’Italia – spiega la Panini – si unisce
un importante traguardo anche per la nostra azienda che festeggia il
50° compleanno. In quest’anno di celebrazioni abbiamo voluto rendere
omaggio alla nostra storia con questa nuova edizione di ‘Storia del
Risorgimento Italiano’ che mantiene le stesse immagini delle
precedenti versioni con una nuova veste grafica e testi
revisionati".
di
Cinzia Dal
Maso
|
Uno spazio per la
Repubblica Romana e la Memoria Garibaldina |
Porta San
Pancrazio
si trasforma in museo
Nel
giugno del 1849, l’eroica ma vana difesa della neonata Repubblica Romana - messa
sotto assedio dalle truppe francesi capeggiate dal generale Oudinot – ebbe come
fulcro la porta San Pancrazio, che alla fine dei combattimenti era ridotta un
cumulo di macerie. Dopo la restaurazione del governo pontificio, Pio IX incaricò
della sua ricostruzione l’architetto Virginio Vespignani, che nel 1854 la eresse
nelle attuali forme, sobrie e solenni.
Sicuramente non
c’era un luogo più adatto di questo a ospitare il Museo della Repubblica Romana
e della Memoria Garibaldina, entrato a far parte del Sistema Musei Civici di
Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico –
Sovraintendenza ai Beni Culturali, gestito da Zètema Progetto Cultura.
Il complesso
monumentale di Porta San Pancrazio non solo è stato ripulito all’esterno, ma è
stato recuperato all’interno in ragione dei nuovi allestimenti multimediali del
museo, pur nel rispetto delle caratteristiche architettoniche e storiche.
Il percorso
espositivo si snoda lungo i quattro piani dell’edificio raccontando le vicende
storiche della Repubblica Romana e della tradizione garibaldina, attraverso
busti, dipinti, incisioni e cimeli, ma soprattutto grazie a plastici e a un
ricchissimo apparato multimediale, per guidare anche i visitatori più giovani
alla scoperta dei luoghi, delle date e dei principali protagonisti dei fatti di
un periodo di grande fermento politico. Sala dopo sala è così possibile
ricostruire l’evoluzione degli eventi che portarono dai moti europei del 1848,
passando per la fase liberale di Pio IX, alla precipitosa fuga del pontefice a
Gaeta e alla proclamazione della Repubblica Romana sino al suo drammatico
epilogo nel luglio 1849, a conclusione dei durissimi scontri che videro le
truppe romane opporsi alle soverchianti forze dell’esercito francese accorse in
aiuto del Papa.
I momenti salienti
della vita della Repubblica Romana sono rievocati attraverso incisioni e bandi
storici dell’epoca, mentre i protagonisti rivivono grazie a una raccolta
iconografica di dipinti e stampe, oltre a video interattivi; sfogliando un album
fotografico virtuale, è invece possibile ripercorrere le storie degli eroi
immortalati nelle erme del Gianicolo.
Nel salone al
secondo piano - l’ambiente più grande e significativo del complesso - in
un video di forte impatto emotivo scorrono le immagini dell’assedio con cui i
Francesi strinsero la città tra la primavera e l’estate del 1849, mentre
un’animazione che parte dalle foto e dal grande panorama dipinto dal
belga Léon Philippet, dà la suggestione della battaglia del 1849 vista da Villa
Savorelli, l’attuale Villa Aurelia, quartier generale di Garibaldi. Il panorama
si compone di 12 tele - conservate presso la Città di Seraing in Belgio – che,
posizionate una accanto all'altra, danno il senso di un’immersione totale nello
spazio. Nel plastico del Gianicolo è possibile visualizzare i luoghi e i
monumenti chiave dell’epopea, dal tratto di mura a destra e a sinistra della
porta a villa Pamphili, al casino dei Quattro Venti, dalla villa del Vascello al
fontanone dell’Acqua Paola e al complesso di San Pietro in Montorio.
Le ultime sale sono
dedicate ad alcuni dei principali protagonisti che persero la vita nella difesa
della Repubblica Romana, come Luciano Manara o Goffredo Mameli, e alla
Costituzione della Repubblica Romana, testo di straordinaria modernità emanato
con grande fierezza in Campidoglio quando le truppe francesi erano già entrate
nella città.
Il percorso di
visita prosegue nell’altro corpo dell’edificio, dove sono esposti divise,
cimeli, dipinti, armi e ricordi fotografici, che testimoniano la continuità di
vita della tradizione garibaldina, protagonista di molta storia del XX secolo.
Il percorso è
completato da due video scritti e diretti da Leonardo Petrillo: nella Sala Pio
IX, Massimo Wertmuller nei panni di Ciceruacchio è impegnato in un
immaginario dialogo con il Pontefice mentre nella Sala dei Giovani Patrioti sei
attori raccontano le gesta di altrettanti eroi: Nino Costa (Luca Mannocci);
Giovanni Nicotera (Andrea Riso); Goffredo Mameli (Riccardo Floris);
Luciano Manara (Giulio Forges Davanzati); Andres Aguyar (Ludgero
Dos Santos) e Cristina Trivulzio Belgioioso (Evita Ciri).
Gli interventi di
recupero e valorizzazione dell’edificio sono stati finanziati dall’Unità Tecnica
di Missione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e condotti dall’area
progettazione di Zètema Progetto Cultura in collaborazione con Studio Next Urban
Solution sotto la supervisione della Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma
Capitale.
di
Antonio Venditti |
TERMINATA
03/04/2011
La mostra su Garibaldi inaugurata da Francesco
Maria Giro |
"Tutt’altra Italia io
sognavo..."
a Castel Sant’Angelo
E’
stata inaugurata ieri nella Sala Paolina di Castel Sant’Angelo - dal
sottosegretario ai Beni culturali Francesco Maria Giro e dal presidente del
Comitato per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia Giuliano Amato -
la mostra "Garibaldi. Tutt’altra Italia io sognavo…".
Per l’occasione è
stato svelato il dipinto su Garibaldi appositamente realizzato da Francesca
Leone, figlia del celeberrimo regista.
Secondo il
sottosegretario Giro, "si tratta di un altro fondamentale tassello alla
vigilia delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Lo spirito
patriottico, che animò l’eroe dei due mondi, è una delle più importanti pagine
non solo della nostra storia risorgimentale ma anche di quella europea. Non a
caso il percorso che caratterizza l’esposizione si snoda attraverso episodi
significativi della sua vita come la Repubblica Romana del 1849, la disperata
ricerca di sconfiggere i francesi per annettere Roma, le battaglie in Sud
America e la difesa delle idee rivoluzionarie della Francia nel 1870".
Garibaldi aveva
raggiunto Roma nel dicembre del 1848, insieme a molti altri patrioti, come
Angelo Masina e Goffredo Mameli. Tra il 30 aprile e il 30 giugno del 1849 l’Eroe
dei Due Mondi organizzò la disperata difesa di Roma contro le truppe francesi
del generale Oudinot. Avrebbe abbandonato la città solo il 2 luglio, insieme a
quattromila fanti e cinquecento uomini di cavalleria. Tra i primi a schierarsi
accanto a lui furono Anita, Ciceruacchio e Ugo Bassi.
Come aggiunge Giro,
"il rigore quasi filologico, condotto nell’allestimento dai due curatori
Lorenzo Zichichi e Cristina Tronca, ci consente di ammirare documenti autentici
e rivisitazioni in chiave contemporanea alternate alla biografia degli eventi".
Erano presenti all’inaugurazione la soprintendente per il Polo Museale di Roma,
Rossella Vodret e il curatore della mostra Lorenzo Zichichi.
Tra le molte opere
in esposizione, il dipinto di Renato Guttuso "La Battaglia del Ponte
dell'Ammiraglio" e il bozzetto per un'opera di grandi dimensioni di Piero
Guccione dal titolo "Il muro del Mare".
Il racconto
biografico dell'Eroe dei Due mondi è accompagnato da dipinti, sculture e cimeli,
provenienti da una delle più importanti raccolte private su Garibaldi, la
Collezione Tronca. Tra questi, la bandiera della Repubblica Romana, la spada di
Luciano Manara morto in difesa di Roma repubblicana e la Quadreria dei ritratti
del Generale. In esposizione anche orologi, spade, ceramiche e affreschi. La
Collezione Tronca, cominciata oltre trenta anni fa da Francesco Paolo Tronca, è
attualmente una delle più ricche non solo di cimeli garibaldini, ma anche della
vastissima produzione che si sviluppò intorno al mito dell’eroe oltre che in
Italia, in molti paesi europei. Garibaldi può essere considerato il primo
personaggio storico italiano che fece innamorare di sé tante nazioni grazie al
suo fascino e al suo carisma. Nella maggior parte delle case
italiane
di fine Ottocento, ma anche in molte di quelle inglesi o francesi, si custodiva,
come degno di venerazione, un oggetto che lo riproduceva, magari un piatto, un
ricamo o un busto. Le nobili famiglie di fede monarchica preferivano un ritratto
in divisa da generale piemontese, mentre le famiglie repubblicane meno abbienti
si potevano accontentare di un’incisione acquerellata con l’eroe in camicia
rossa.
Un video in
italiano e inglese raccoglie gli spezzoni dei film ispirati all’epopea
garibaldina.
La mostra è
organizzata dal Cigno edizioni – che cura anche il catalogo - con la
Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico
e per il Polo Museale della Città di Roma, in partnership con il Giornale di
Sicilia e con il patrocinio della Regione Lazio Assessorato alla Cultura,
della Regione Siciliana Assessorato dei Beni Culturali e dell'Identità
Siciliana.
Media partners
Giornale di Sicilia e Telesia.
Sarà possibile
visitare la mostra fino al 3 aprile 2011, dal martedì alla domenica, con orario
9 – 19. Tel. 066819111. Entrata da Lungotevere di Castello, 50. Ingresso 8,00
euro.
di
Antonio Venditti
|
SPECIALE RISORGIMENTO
- SPECCHIO ROMANO |
TERMINATA 16/01/2011
DA
FRANCESCO HAYEZ A GEROLAMO INDUNO, L’EPOPEA DELL’UNITÀ ITALIANA |
I PITTORI
DEL RISORGIMENTO
ALLE SCUDERIE DEL QUIRINALE
Proseguono
le iniziative che fanno da contorno alle celebrazioni per il
centocinquantesimo anniversario dell’Unità d'Italia. Le Scuderie del
Quirinale ospitano, fino al 16 gennaio 2011, una grande mostra per
illustrare come la pittura italiana abbia rappresentato gli eventi
che portarono il Paese alla conquista dell'indipendenza e dell'unità
nazionale, "1861. I pittori del Risorgimento", a
cura di Fernando Mazzocca e Carlo Sisi, con la collaborazione di
Anna Villari.
L’esposizione segue il racconto di alcune delle vicende più
importanti della nostra storia, partendo dai fatti rivoluzionari del
1848 - indispensabile premessa per capire le vicende dal 1859 al
1861 - dal mito delle Cinque giornate di Milano e da quello della
difesa della Repubblica Romana.
Si
possono ammirare opere di alcuni dei maggiori artisti dell’epoca
risorgimentale e scoprire come Francesco Hayez, Giuseppe Molteni,
Domenico e Gerolamo Induno, Eleuterio Pagliano, Federico Faruffini,
Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Odoardo Borrani, Michele Cammarano
o Giuseppe Sciuti abbiano letto gli accadimenti di quegli anni,
privilegiando, nella maggior parte dei casi, una commossa
rappresentazione dell'adesione popolare piuttosto che una più
scontata e retorica celebrazione. Vengono messi a confronto, per la
prima volta, i monumentali dipinti di Giovanni Fattori e Gerolamo
Induno, per mettere in luce come entrambi gli artisti, pur con
linguaggi diversi, tendessero a uno stesso obiettivo: rappresentare
le fondamentali battaglie per la conquista dell'Unità spostando
l'attenzione dagli aspetti militari a quelli ideali e popolari.
Definito da Garibaldi uno dei più "intrepidi e valorosi combattenti
di Roma", durante l’assedio francese della città Gerolamo Induno fu
impegnato nell’occupazione del Vascello. Il
22 giugno del 1849, per ordine di Garibaldi, due compagnie del
generale Medici tentarono di impadronirsi della casa Barberini,
all’interno di villa Sciarra. I patrioti riuscirono a penetrare
nella casa, ma dovettero ritirarsi dopo una furiosa mischia nel
cortile e nelle stanze. Durante quell’operazione, Gerolamo Induno fu
gravemente ferito da 27 colpi di baionetta e cadde da una terrazza.
Due commilitoni lo raccolsero in fin di vita. Fu curato all’ospedale
dei Fatebenefratelli, diretto dalla giornalista americana Margaret
Fuller Ossoli. Una volta guarito, fu nominato sottotenente e rimase
qualche tempo a Roma. Grazie alla protezione del conte
Giulio Litta, riuscì a tornare a Milano e negli anni che seguirono
espose a Brera alcune opere di tema risorgimentale che ricordavano
gli eventi che lo avevano visto protagonista a Roma, come "La difesa
del Vascello", "Porta San Pancrazio dopo l’assedio del 1849" o
"Trasteverina colpita da una bomba".
Dal
1854 al 1855 partecipò alla campagna di Crimea, militando nel corpo
dei bersaglieri di Alessandro La Marmora in qualità di
pittore-soldato ed eseguendo disegni, studi e resoconti per
immagini. Al ritorno in patria quegli schizzi diventarono quadri
pieni di sentimenti patriottici, molto apprezzati dalla critica. Tra
questi, "La battaglia della Cernaia", commissionata dallo stesso
Vittorio Emanuele II, che costituirà un modello per tutta la pittura
del periodo, che è possibile ammirare nella mostra.
Tra i
più conosciuti artisti dell'epoca, Giovanni Fattori, invece, non
partecipò direttamente alla seconda Guerra d'Indipendenza ma seppe
rendere, forse più di ogni altro, la dimensione epica del nostro
Risorgimento. Nelle opere dei lombardi Eleuterio Pagliano e Federico
Faruffini come in quelle del napoletano Michele Cammarano si può
riconoscere quel rivoluzionario e impressionante realismo che ispirò
l'immaginario cinematografico di registi come Blasetti e Visconti
che proprio al racconto del Risorgimento dedicarono alcuni loro
capolavori.
Con le
delusioni di Villafranca e di Aspromonte, drammaticamente
restituiteci dai capolavori dei fratelli Domenico e Gerolamo Induno,
la mostra si avvia a conclusione. Il tragico dipinto del Fattori, Lo
staffato, è l'opera emblematica di questo periodo, il simbolo
delle riflessioni e delle inquietudini che caratterizzarono quegli
anni, forse, come è stato definito da molti critici, il più vero e
antiretorico monumento ai caduti delle guerre risorgimentali.
di Antonio
Venditti e Cinzia
Dal Maso |
SPECIALE RISORGIMENTO
- SPECCHIO ROMANO |
TERMINATA
15/01/2011
Un Convegno in occasione del 150° anniversario dell’Unità
d’Italia |
L’apporto dei
Barnabiti
all’epopea risorgimentale
Il
Centro Studi Storici PP. Barnabiti, in collaborazione con l’Associazione
Italiana dei Professori di Storia della Chiesa, ha organizzato il convegno "I
Barnabiti nel Risorgimento", che si è svolto il 14 e il 15 gennaio scorsi, in
piazza Benedetto Cairoli 117, di lato alla chiesa di San Carlo ai Catinari. Un
sito quanto mai significativo, come ha spiegato Filippo Lovison, direttore del
Centro Studi, nell’introduzione ai lavori: "se in questa Chiesa e Casa tutto
parla dell’amor di Dio e dell’amor di Patria, gli squarci prodotti sulla sua
magnifica cupola dal cannoneggiamento dei francesi appostati sul Gianicolo
durante la Repubblica Romana del 1849 sono ancor oggi ben visibili sotto il
cielo della Città Eterna, ad perpetuam rei memoriam di dure lotte e contrapposte
speranze". Nella stessa chiesa i garibaldini seppellivano i loro morti "di
riguardo", dopo che i religiosi ne avevano celebrate le esequie. I cadaveri
venivano calati nel sottochiesa attraverso una botola aperta davanti alla
cappella di Santa Cecilia. "Lo stesso Garibaldi, con le sue mani – ha continuato
padre Lovison - volle calare la cassa contenente il cadavere del suo aiutante di
campo, l’uruguaiano di Montevideo Andrea Aguyar, morto il 30 giugno 1849". Altre
mani pietose nascosero i resti mortali di altri garibaldini nella più sontuosa
cappella della Chiesa, quella della famiglia dei marchesi Costaguti.
L’annesso palazzo -
a dispetto delle sue atmosfere serie e austere alimentate dai continui giochi di
penombra - ospitò nei suoi corridoi centinaia di garibaldini, che qui si
ristoravano e spesso imprecavano, reclamando "sangue de’ preti e de’ frati" e
giurando morte ai "neri", ossia ai Gesuiti.
Molti e altamente
competenti gli interventi dei vari relatori. Monsignor Sergio Pagano ha parlato
di "Un’inedita storia del Risorgimento italiano (Soderini-Clementi)", Carlo M.
Fiorentino si è soffermato su "La questione romana intorno al 1870", Giancarlo
Rocca su "Religiosi nel Risorgimento" e Francesco Margiotta Broglio su "Chiesa e
Stato a 150 anni dall’Unità d’Italia". Non potevano essere trascurate tre grandi
figure di Barnabiti – patrioti: p. Giovanni Semeria, ricordato da Filippo
Lovison, p. Alessandro Gavazzi (Matteo Sanfilippo) e p. Ugo Bassi, "martire
dell’indipendenza italiana" (Paolo Rippa). Bassi e Gavazzi sono stati definiti
da padre Lovison "i più eloquenti cappellani garibaldini
del Risorgimento italiano, la cui azione si deve però confrontare non solo con
la rilettura storiografica contemporanea della figura di Garibaldi, quanto con
il sentire cum Ecclesia di quell’anima più liberale dell’Ordine dei Barnabiti
che essi rappresentavano, e che si contrapponeva a quella detta reazionaria
capeggiata dal cardinale Luigi Lambruschini", la cui figura è stata presentata
da Roberto Regoli.
Del cardinale Luigi
Bilio, uno dei protagonisti del Concilio Vaticano I, si è occupato Andrea
Ciampani.
La relazione di p.
Mauro Regazzoni ha riguardato "La partecipazione dei Barnabiti al Risorgimento".
Va ricordato che i Barnabiti, non solo durante la difesa della Repubblica Romana
furono custodi dei pochi oggetti personali dei garibaldini e depositari dei loro
ultimi sospiri, ma divennero anche cappellani del Sacrario del Gianicolo, quando
vi furono portati i resti degli eroi tolti dai sotterranei di San Carlo ai
Catinari.
Il convegno è stato
completato dalle visite all’originario cimitero dei garibaldini nel sottochiesa
di San Carlo ai Catinari e al Museo Centrale del Risorgimento, nel complesso del
Vittoriano, dove sono conservate preziose testimonianze storiche, dai ritratti
alle armi utilizzate dagli eroi del Risorgimento; dalla penna di Mazzini alla
spada di Garibaldi; dai disegni dei pittori-soldato ai busti-ritratto delle
Medaglie d’Oro. Il Museo venne inaugurato nel 1911 ed era destinato a celebrare
il Re Vittorio Emanuele II e l’intera stagione risorgimentale. E’ un vero
crocevia d’Italia, come ha spiegato il suo direttore, Marco Pizzo. Qui oggetti
diversi "oggi sono diventati dei veri e propri documenti, delle testimonianze
puntuali e rievocative dei fatti e dei protagonisti dell’epopea risorgimentale".
Dell’argomento si
parlerà a Nuova Spazio Radio (88.100 MHz), a "Questa è Roma", il
programma ideato e condotto da Maria Pia Partisani, in studio con Livia
Ventimiglia il martedì dalle 14 alle 15 e in replica il sabato dalle 10 alle 11.
di
Cinzia Dal Maso
18 gennaio 2011 |
SPECIALE RISORGIMENTO
- SPECCHIO ROMANO |
TERMINATA 09/01/2011
PITTURA PATRIOTTICA NELLA ROMA DELL’OTTOCENTO |
IL RISORGIMENTO A COLORI
A PALAZZO BRASCHI
Tra
il 1849 e il 1870 Roma fu protagonista di avvenimenti eroici e
drammatici che portarono all’unità d’Italia: un’epopea che ha
riempito centinaia e centinaia di libri. C’è poi una storia
parallela, quella scritta con il pennello dai tanti artisti italiani
e stranieri che hanno voluto fermare immagini grandiose o intime,
dalla concitazione delle battaglie al riposo di una sentinella,
dalla tristezza dell’esule alle scene di grande respiro ambientate
nelle piazze storiche, dal Quirinale al Campidoglio.
Fino al
9 gennaio 2010, il Museo di Roma di Palazzo Braschi ospita la mostra
"Il Risorgimento a colori: pittori, patrioti e patrioti pittori
nella Roma del XIX secolo", a cura di Maria Elisa Tittoni con
Patrizia Masini, Rossella Leone e Isabella Colucci per la sezione di
pittura, Simonetta Tozzi e Angela D’Amelio per la sezione di
grafica.
L’esposizione – inserita nelle iniziative "Roma: Capitale d’Italia
da 140 anni" - è promossa dal Comune di Roma, Assessorato alle
Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni
Culturali, con l’organizzazione e servizi museali di Zètema Progetto
Cultura.
Le
circa cento opere selezionate - dipinti, sculture e opere grafiche
provenienti dalle collezioni del Museo di Roma e da altre raccolte
italiane pubbliche e private - illustrano, sia attraverso i
tradizionali schemi accademici sia con un innovativo linguaggio tra
cronaca ed epopea, ricco di sentimento e passione, venti anni di
storia cittadina. Ci sono i dipinti di Dario Querci, Carlo De Paris,
Michelangelo Pacetti, George Housman Thomas, Gerolamo Induno,
Michele Cammarano, Carlo Ademollo, Gioacchino Toma, Onorato Carlandi.
Si inizia lo straordinario quadro di Ippolito Caffi che descrive
l’entusiasmo popolare in Piazza del Quirinale per la concessione
dello Statuto da parte di Pio IX, mentre una tela di Antonio
Malchiodi rievoca la figura del tribuno di Trastevere Angelo
Brunetti, soprannominato Ciceruacchio.
Particolarmente significativa la sezione dedicata alla breve ma
intensa esperienza della Repubblica Romana del ’49. Due grandi
dipinti fissano l’immagine dei maggiori protagonisti: Giuseppe
Mazzini che in Campidoglio annuncia ai romani l’istituzione della
Repubblica, di Dario Querci, e Garibaldi nell’assedio di Roma di
George Housman Thomas. In alcuni dipinti di Gerolamo Induno e
Giambattista Bassi emerge tutta la desolazione dei luoghi
bombardati.
Il
ritorno del pontefice nella città occupata dalle truppe francesi,
nell’aprile del 1850, venne celebrato da artisti fedeli al regime.
Una serie di opere illustra le iniziative di Pio IX dopo l’esilio di
Gaeta: la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione e
l’inaugurazione della colonna, dedicata alla Vergine, in piazza di
Spagna; la commissione di importanti scavi archeologici che
portarono al ritrovamento dell’Ercole Righetti presso Campo de’
Fiori e dell’Augusto a Prima Porta; la macchina pirotecnica
incendiata sul Pincio per la festività dei Santi Pietro e Paolo.
Seguono
le tele di Michele Cammarano e Archimede Tranzi che rievocano la
breccia di Porta Pia. La partecipazione di aristocratici e popolo
affinché si realizzi la nuova realtà politica di Roma capitale è
ricordata in una bella scena di genere di Pietro Saporetti.
L’esposizione pittorica è integrata dalla sezione dedicata alla
grafica, presentata nelle due nuove sale con accesso dal cortile di
Palazzo Braschi, aperte al pubblico in questa occasione. Qui è
ospitata la documentazione degli avvenimenti romani tra il 1846 -
anno di elezione di Pio IX - e il 1870 in 49 opere - disegni,
incisioni e libri rari - alcune esposte per la prima volta. Si va
dall’istituzione della Guardia Civica alla realizzazione degli
imponenti apparati effimeri innalzati nelle piazze cittadine in
onore del papa. La proclamazione delle Repubblica Romana e i cruenti
scontri durante l’assedio del ’49 tra truppe francesi e romane sono
illustrati nelle famose litografie delle Rovine
della guerra di Roma del 1849 e
nei panorami di Kandler e Andreae che ritraggono l’assedio da Villa
Pamphilj e da Palazzo Caffarelli.
Molto
ammirato soprattutto dalle visitatrici della mostra il prezioso
abito di Roberto Capucci Angelo
Barocco, realizzato
nel 1987 e personalizzato per l'occasione, proveniente dall’Archivio
Storico Fondazione Roberto Capucci.
di Cinzia
Dal Maso e Antonio
Venditti |
SPECIALE RISORGIMENTO
- SPECCHIO ROMANO |
TERMINATA 09/01/2011
Una mostra al Museo
di Roma in Trastevere |
IL RISORGIMENTO DEI
ROMANI
NELLE FOTO DAL 1849 AL 1870
La
gloriosa e tragica esperienza della Repubblica Romana del 1849
assediata dalle truppe francesi del generale Oudinot e la lunga
attesa per arrivare alla breccia di Porta Pia rivivono al Museo di
Roma in Trastevere fino al 9 gennaio 2011 nelle circa 100 foto della
mostra "Il Risorgimento dei romani. Fotografie dal 1849 al 1870", a
cura di Maria Elisa Tittoni, Anita Margiotta e Fabio Betti.
Si
tratta per la maggior parte di fotografie originali, fra cui antiche
carte salate e stampe albuminate di medio e grande formato, oltre a
piccole vedute stereoscopiche e ritratti, nel formato allora molto
diffuso, della carte-de-visite. La quasi totalità delle immagini
proviene dalle collezioni del Museo di Roma – Archivio Fotografico
Comunale, integrate da alcuni prestiti provenienti dal Museo
Napoleonico e da alcune riproduzioni fotografiche di opere della
Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma.
Accanto
alla documentazione delle operazioni militari, sono esposte immagini
dei luoghi simbolo della città e del potere temporale del Papa – San
Pietro, il Campidoglio, Castel Sant’Angelo trasformato in fortezza
francese, Palazzo Farnese sede dei Borboni di Napoli in esilio,
l’inaugurazione del ponte di ferro di San Paolo, il viaggio in treno
di Pio IX - che testimoniano la particolare atmosfera in cui Roma e
i romani si trovarono a vivere gli eventi precedenti la nascita del
regno italiano nei lunghi anni fra il 1861 ed il 20 settembre 1870,
trascorsi ancora sotto il governo pontificio. Di molti eventi di
questi ultimi anni troviamo eco nelle fotografie, dai tumulti che
portarono allo scoppio della bomba nella caserma Serristori degli
zuavi pontifici all’assassinio degli attentatori Giuseppe Monti e
Gaetano Tognetti, fino alla battaglia di Mentana.
Come il
Risorgimento rivoluzionava l’assetto politico italiano ed europeo,
così nella seconda metà dell’800 la fotografia trasformava il
sistema riproduttivo. A Roma, la tecnica si afferma soprattutto nel
campo della ripresa di vedute e monumenti, ma alcune immagini, pur
nel loro intento documentaristico e vedutistico e nonostante la
severa censura pontificia, dimostrano un coinvolgimento negli ideali
liberali, grazie alla duttilità del nuovo mezzo che facilmente si
adeguò alle specifiche istanze storiche e culturali del periodo.
L’affermarsi del ritratto fotografico contribuì notevolmente alla
diffusione delle sembianze dei protagonisti del Risorgimento: il
generale Avezzana, Aurelio Saffi, Angelo Brunetti, noto come
Ciceruacchio, Massimo D’Azeglio, Terenzio Mamiani, Giuseppe
Garibaldi, i fratelli Cairoli, Giuditta Tavani Arquati. Si diffonde
anche la raccolta e il collezionismo delle piccole carte-de-visite,
scambiate come biglietti da visita, spesso con autografo del
soggetto ritratto.
L’importanza propagandistica e divulgativa del nuovo mezzo è
tuttavia subito evidente anche ai vertici dello Stato Pontificio,
che lo utilizzano per diffondere volti e avvenimenti, dai ritratti
di Pio IX e della sua corte, alle esercitazioni militari delle
truppe pontificie ad Anzio e Rocca di Papa.
Roma
diventa crocevia internazionale dei primi fotografi, che si
riuniscono al Caffè Greco e condividono esperienze di lavoro e stile
di vita dei romani, degli artisti e dei patrioti ritratti nelle loro
fotografie. Sono presenti in mostra opere di Giacomo Caneva, Eugène
Constant, James Anderson, Ludovico Tuminello, Gioacchino Altobelli,
i fratelli D’Alessandri e altri, per quanto riguarda le carte de
visite, sono presenti i maggiori studi fotografici italiani ed
europei del periodo.
I
reportage di guerra ottocenteschi venivano sempre realizzati ad
avvenimenti bellici conclusi; in essi manca l’azione e sono le
vedute degli edifici bombardati o il paesaggio con il campo di
battaglia, privo degli opposti schieramenti, a dominare
l’inquadratura. La fotografia ricostruisce, con immagini riprese a
posteriori, l’epopea eroica del Risorgimento e tramanda il ruolo
della città eterna nella storia dell’unità d’Italia.
L’esposizione è promossa dal Comune di Roma, Assessorato alle
Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni
Culturali con l’organizzazione e i servizi museali di Zètema
Progetto Cultura e rientra nelle iniziative "Roma: Capitale d’Italia
da 140 anni".
di Antonio
Venditti e Cinzia
Dal Maso |
SPECIALE RISORGIMENTO
- SPECCHIO ROMANO |
TERMINATA AL 02/01/2011
LA
SPEDIZIONE DI ROMA DEL 1849 ATTRAVERSO LE LITOGRAFIE DI RAFFET |
"SOUVENIRS D’ITALIE" AL MUSEO NAPOLEONICO
Il
25 aprile del 1849 un corpo di spedizione francese, composto da 7
mila uomini al comando del generale Oudinot, duca di Reggio,
sbarcava a Civitavecchia, per restaurare il potere pontificio
sopprimendo la neonata Repubblica Romana. Il 30 aprile, 5 mila
soldati francesi erano di fronte a porta Cavalleggeri, a porta San
Pancrazio e a porta Angelica. Oudinot pensava di non incontrare
resistenza, ritenendo che la difesa di Roma fosse costituita da
qualche centinaio di esuli. Invece, l’allarme per tutte le vie di
Roma era stato dato fin dalla sera prima. I francesi si
meravigliarono non poco quando, il mattino del 30 aprile, alle loro
perentorie intimidazioni di resa udirono rispondere prima le campane
di Montecitorio e del Campidoglio e subito dopo i cannoni e i
moschetti. I combattimenti durarono fino a sera. La guardia civica
mobilizzata, comandata dal Masi, e le colonne mobili di Garibaldi e
Galletti costrinsero i Francesi a una ritirata disordinata che
lasciò sul campo più di 500 morti e 365 prigionieri.
Il 15
maggio si era raggiunta quella che sembrava una vittoria della
diplomazia di Mazzini: una tregua d’armi con i Francesi di 20
giorni, pattuita con il plenipotenziario Lesseps. Seguì un trattato
in cui quella francese doveva essere considerata dai romani "un’armata
amica che viene a concorrere alla difesa del loro territorio".
Luigi Napoleone, però, andava maturando ben altri propositi e il 29
maggio inviava due dispacci, uno al gen. Oudinot per ordinargli di
procedere all’assalto di Roma e l’altro a Lesseps, intimandogli di
tornare in Francia. Oudinot denunciò la tregua e annunciò che
avrebbe ripreso i combattimenti da lunedì 4 giugno. Non fu di
parola. Nella notte che precedeva il 3 giugno due colonne francesi
si impadronirono delle ville Pamphili, Corsini (o dei Quattro Venti)
e Valentini, sorprendendo nel sonno i difensori, che per tutta la
domenica tentarono di riconquistarle, subendo dure perdite. Le sorti
della Repubblica erano segnate: troppa era la sproporzione tra le
forze degli attaccanti e quelle degli attaccati.
La
difesa proseguì fino al 30 giugno, registrando innumerevoli atti di
eroismo e la morte di tanti patrioti. Il 3 luglio Oudinot entrava a
Roma.
Al
seguito della spedizione francese era anche Denis-Auguste-Marie
Raffet (1804-1860), un illustratore di chiara fama, che aveva
riscosso un enorme successo con numerose litografie sulle campagne
napoleoniche. Raffet eseguì molti schizzi e disegni, rielaborando i
quali avrebbe realizzato, tra il 1850 e il 1859, trentadue
litografie, che con altre quattro tratte subito dopo la sua morte,
costituiscono l’album "Souvenirs d’Italie. Expédition de Rome": non
solo un prodotto artistico di altissimo livello, ma anche un
importante documento storico che va dallo sbarco di Civitavecchia
fino alla benedizione impartita il 18 aprile del 1850 da Pio IX
all’armata che lo aveva riportato sul trono pontificio. Le incisioni
presentano l’accuratezza e la precisione descrittiva proprie dello
stile di Raffet, ma anche un’abile resa dei contrasti chiaroscurali
e una sapiente impaginazione delle scene di battaglia e dei
movimenti strategici delle truppe. Minuziosa l’attenzione con cui
l’artista delinea le diverse divise del corpo di spedizione, tanto
che si è potuto affermare che queste litografie possano costituire
un vero e proprio repertorio delle uniformi dell’esercito francese
dell’epoca. Raffet non predilige concitate scene di battaglia, ma
racconta piuttosto la vita di trincea e le lunghe attese dei soldati
dietro la prima linea: vero protagonista è il fronte, non tanto la
città assediata.
Le
litografie non furono immediatamente raccolte in un volume, ma
probabilmente pubblicate man mano che venivano eseguite a partire
dal 1852, data che compare nel frontespizio dell’edizione a cura di
Gihaut Frères a Parigi.
Le 36
litografie dell’album saranno esposte fino al prossimo 10 ottobre
nella sala VIII del Museo Napoleonico, in piazza di Ponte Umberto I,
1.
L’Album, che reca la dedica al principe Anatole Demidoff, marito di
Matilde Bonaparte e committente di varie opere di Raffet, è stato
acquistato nel 2005 dalla Regione Lazio e destinato alla Biblioteca
del Museo Napoleonico.
L’esposizione è promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e
della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune
di Roma in collaborazione con Zètema- Progetto Cultura.
di Antonio
Venditti e Cinzia
Dal Maso |
SPECIALE RISORGIMENTO
- SPECCHIO ROMANO |
TERMINATA 10/10/2010
A Palazzo Venezia,
nella mostra “Persone”, uno dei suoi quadri |
Girolamo Induno, pittore e patriota
Una
strada, a Trastevere, ricorda Girolamo Induno (Milano 1827-1890),
singolare figura di artista e combattente del Risorgimento. Nel 1848
partecipò alle Cinque giornate di Milano e si distinse nel ’49 tra
gli eroici difensori della Repubblica Romana. Proprio nella città
eterna, colpito da decine di colpi di baionetta durante l’attacco a
Villa Barberini, scampò miracolosamente alla morte. Nel periodo
della lunga convalescenza, studiò attentamente i paesaggi romani
che, una volta ripreso, sarebbero diventati lo sfondo dei suoi
appassionati quadri storici. L’amore per l’arte lo accompagnò sempre
sui campi di battaglia: anche nelle spedizioni successive, infatti,
combatté e realizzò dal vero gli schizzi che gli sarebbero poi
serviti per dipingere celebri tele come “La battaglia della Cernaia”,
acquistata dal re Vittorio Emanuele II nel 1859.
A Palazzo Venezia, in questi giorni, è
possibile ammirare alla mostra “Persone. Ritratti di gruppo da Van
Dyck a De Chirico”, una delle sue opere, un olio su tela del 1879,
proveniente dal Museo del Risorgimento di Milano.“Si tratta della
rievocazione di un episodio del 30 gennaio 1875”, spiega Franco
Ragazzi nel catalogo della ricca esposizione (Silvana Editoriale,
254 pagine, euro 34). “E’ una visita – continua lo studioso,
descrivendo il quadro - di Garibaldi al re Vittorio Emanuele II che
lo riceve a Roma, al Quirinale, accompagnato dal Generale Giacomo
Medici del Vascello, suo luogotenente in tutte le campagne
garibaldine dai tempi di Montevideo ed eroe della Repubblica Romana
del 1849. Dopo il 1849 era la prima volta che Garibaldi tornava a
Roma, diventata nel 1871 capitale del regno, per partecipare, anche
se per pochissimo, ai lavori parlamentari. Garibaldi ormai lasciava
Caprera raramente, circostanza che fece della visita romana e
dell’incontro con il re un avvenimento, dipinto da Induno anche in
un'altra versione con un numero maggiore di personaggi. L’epopea
eroica del Risorgimento – sottolinea Franco Ragazzi - era finita,
non esisteva più lo spirito dell’incontro di Teano, Garibaldi aveva
esaurito la fiducia un tempo riposta nella monarchia. Il generale,
appesantito dagli anni, acciaccato dai reumatismi sempre più gravi
che lo costringevano a sorreggersi sulle grucce, concede al re che
aveva disapprovato le sue spedizioni per la liberazione di Roma e
addirittura ordinato di far fuoco su di lui, di stringergli la
mano”.
di Annalisa Venditti |
SPECIALE RISORGIMENTO
- SPECCHIO ROMANO |
TERMINATA 16/10/2005
CON LE SUE
VIGNETTE SPIETATE ACCOMPAGNÒ LA STORIA DELLA REPUBBLICA ROMANA |
LA SATIRA DISSACRANTE
DEL "DON PIRLONE"
L’elezione
di Pio IX, avvenuta il 16 giugno 1846, e la cauta azione
riformatrice del pontefice, avevano suscitato molti entusiasmi tra i
sudditi dello stato della Chiesa.
Di
fatto, tra il 1847 e il 1849 ci fu uno straordinario sviluppo del
libero giornalismo d’opinione, anche se arginato da alcuni veti.
Il 15
marzo 1847 fu pubblicato l’editto del cardinale Gizzi, segretario di
stato, che – mantenendo anche le regole di controllo preventivo -
istitutiva un consiglio di censura eletto dal Papa e composto da
cinque membri, quattro dei quali laici. Nell’editto di leggeva tra
l’altro: "sarà lecito parlare di argomenti di scienza, lettere ed
arti e storia contemporanea". Quest’ultimo punto rese necessaria una
precisazione a opera del cardinal Ferretti, che in una circolare
specificava come per storia contemporanea si dovessero intendere "i
fatti realmente accaduti o che vadano accadendo e non l’alta
politica interna o internazionale". Sotto
la pressione dei movimenti liberali, comunque, la censura non ebbe
troppo peso.
Con lo
Statuto Fondamentale concesso da Pio IX il 14 marzo 1848 fu
ratificata anche la legge sulla stampa, regolamentata il 3 giugno
successivo: era contemplata la presenza di un direttore
responsabile, mentre ogni cittadino in possesso di determinati
requisiti e nel rispetto di alcune regole poteva liberamente
pubblicare.
La
concessione dello Statuto fu celebrata con la fondazione di un
quotidiano di stampo liberale, "L’Epoca", che anche nel nome si
voleva riferire all’avvento di un nuovo periodo di progresso. Il 29
aprile, però, Pio IX, pronunciando la famosa allocuzione "Non semel"
con la quale sconfessava l’azione del suo esercito e la guerra
all’Austria, attirò su di sé diffidenze e malumori. Proprio questo
periodo vide la nascita di molti giornali umoristico-satirici. Tra i
più famosi, il "Don Pirlone", quotidiano di caricature politiche
fondato dai liberali de "L’Epoca", il cui primo numero uscì il 1°
settembre del 1848. Le sue vignette sferzanti e spietate erano
destinate a fare epoca. Anche se ispirate al più intollerante
spirito anticlericale, avevano un tale spirito mordente che molto
spesso gli stessi avversari furono costretti ad ammetterne
l’efficacia. Molte delle illustrazioni ironizzavano sui personaggi
dell’epoca e sull’indecisione politica di regnanti italiani ed
europei.Altre
si basavano su episodi della storia contemporanea della penisola,
della cronaca cittadina di Roma o dello Stato Pontificio.
In
tempi piuttosto recenti è stato scoperto, all’interno del fondo
iconografico del Museo Centrale del Risorgimento, un gruppo di 50
disegni preparatori, con annotazioni manoscritte e note della
censura ecclesiastica, che dopo essere stato oggetto di un accurato
intervento di restauro, ha dato vita, nel 1995, alla mostra "La
satira restaurata. Disegni del 1848 per il Don Pirlone",curata
da Marco
Pizzo e
allestita nell’Ala Brasini del Museo Centrale del Risorgimento di
Roma.
Il nome
del giornale derivava da quello di una maschera ideata nel 1711 da
Gigli a Siena come esempio di ipocrisia mascherata. L’ottuso
benpensante Don Pirlone è raffigurato sulla copertina di ogni numero
avvolto in un mantello gonfiato dal vento e con un cappello a falda
larga, accompagnato dal motto "ntendemi chi può, ch’i m’intend’io".
Tutti gli articoli erano rigorosamente anonimi.
A Roma
ebbe una larga diffusione, arrivando a contare ben mille e 200
abbonamenti.
Pellegrino Rossi, ministro dell’Interno del governo pontificio tentò
di censurarlo con una notificazione del Consiglio del 3 ottobre. La
polemica che ne seguì esasperò ulteriormente un clima già molto
teso, che avrebbe portato, il 15 novembre successivo, all’assassinio
di Pellegrino Rossi. "L’Epoca", pur condannando l’omicidio,
ricordava, tra i torti più gravi del defunto ministro, proprio il
processo contro il "Don Pirlone", un’occasione in cui "si
corrompevano i giudici perché pronunziassero contro di quello
un’assurda condanna a schiacciare il coraggio sommo civile
addimostrato e si ponea la prima pietra di schiavitù sulla libera
manifestazione del pensiero".
Di lì a
poco – il 24 novembre – il Pontefice fuggiva a Gaeta. Il 9 febbraio
del 1849, in Campidoglio, veniva solennemente proclamata la
Repubblica Romana. Il "Don Pirlone" ne avrebbe accompagnato la vita
con la sua dissacrante satira, fino al tragico epilogo e alla fine
gloriosa. L’ultimo numero uscì il 2 luglio 1849. Il giorno seguente
le truppe francesi entravano a Roma.
di Cinzia
Dal Maso |
SPECIALE RISORGIMENTO
- SPECCHIO ROMANO |
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