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DAL 22/11/2011 AL 22/01/2012

Risorgimento al femminile tra storia e moda

"Eroine di stile" a Palazzo Altemps

"Quanto più si estendono e si approfondiscono le indagini sul nostro Risorgimento, più vediamo balzar fuori figure di donne", scriveva già nel 1930 Vittorio Cian. L’apporto femminile al percorso unitario della nazione è stato per troppo tempo dimenticato dalla storiografia ufficiale, che ha preferito vedere nella donna la compagna dell’uomo, la madre, la sorella, la sposa, l’amante, piuttosto che la protagonista degli avvenimenti.

Eppure ci sono state intellettuali, aristocratiche, donne del popolo, regine e religiose, combattenti e garibaldine, colme di cuore e di cultura, di istinto e di passione, accomunate dal sogno unitario.

A queste donne, artefici di un Risorgimento dimenticato, è dedicata la mostra
"Eroine di stile", a cura di Stefano Dominella, promossa dalla Provincia di Roma per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, al Museo Nazionale Romano a Palazzo Altemps fino al 22 gennaio 2012.

Si tratta di un percorso tutto al femminile, tra storia e moda, in cui compaiono nomi illustri come quelli di Anita Garibaldi, Cristina di Belgioioso, la contessa di Castiglione, Maria Sofia di Borbone, ultima regina di Napoli, ma anche personaggi di straordinaria tempra e carattere come Enrichetta Caracciolo, Clotilde di Savoia, le brigantesse Michelina Di Cesare, Filumena Pennacchio e Maria Oliverio.

L’omaggio al loro coraggio, all’ambizione, alla determinazione è firmato da grandi maestri della moda italiana quali Salvatore Ferragamo, Fendi, Max Mara, Roberto Cavalli, Laura Biagiotti, Valentino, Gianfranco Ferré, Armani, Prada, Ermanno Scervino, Emilio Schuberth, Galitzine, Romeo Gigli, Gattinoni, Sarli, Missoni, Prada, Emilio Pucci, Alessandro dell’Acqua, Walter Albini, Biki, Carosa.

di Cinzia Dal Maso

 

DAL 16/11/2011 AL 15/01/2012

A Palazzo Braschi le foto della Repubblica romana del 1849

Il reportage di guerra di Stefano Lecchi

Trentacinque immagini sbiadite, trentacinque frammenti di storia, raccontano uno dei momenti più intensi e gloriosi del nostro recente passato: la difesa della Repubblica Romana del 1849 dall’assedio dei francesi intenzionati a restaurare il potere temporale dei Papi, per la quale si immolò la migliore gioventù d’Italia, un esempio di amor patrio per l’Europa intera. Al Museo di Palazzo Braschi fino al 15 gennaio 2012, le immagini realizzate dal pittore fotografo Stefano Lecchi costituiscono il primo reportage di guerra. Ci sono i luoghi cari alla nostra memoria, capaci di evocare un’epopea d’altri tempi e di risvegliare quella che un mio caro amico e Maestro una volta definì una ferita ancora aperta nella coscienza civile dei romani. Il Casino dei Quattro Venti ridotto a una maceria quasi informe testimonia il sacrificio di quanti per tre volte, nella drammatica giornata del 3 giugno, lo tolsero ai francesi per essere costretti a cederlo altrettante volte. Fa tornare alla mente i versi eterni di Gabriele D’Annunzio: "grado per grado, pietra / per pietra, preso e perduto e ripreso / e riperduto il baluardo orrendo; / accumulati i cadaveri a piè degli agrifogli, dei balaustri, delle / statue, delle urne; fatto il pendìo riviera / del sangue, cupo bulicame di membra / lacere; acceso l’incendio; alzato al cielo / impallidito il clamore supremo / i Legionarii ansanti, arsi di sete / e d’ira, armati di tronconi e di schegge / neri di fumo e di polvere, belli / e spaventosi parvero come quelli / che superato avean l’uman potere / con la scagliata anima (tale il segno / superato è dal dardo veemente) / e respiravan dai lor profondi petti / piagati l’ansia d’un miracolo ardente".
La mostra "Fotografare la storia. Stefano Lecchi e la Repubblica Romana del 1849" è curata da Maria Pia Critelli della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma e da Anita Margiotta dell'Archivio Fotografico del Museo di Roma e promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico - Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale e dalla Biblioteca di Storia moderna e Contemporanea di Roma.

Per la prima volta il reportage di Lecchi – ritrovato nel 1997 grazie alle ricerche di Marina Miraglia - viene presentato nella quasi totale interezza: sono infatti quarantuno le carte salate da calotipo conservate alla Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma, che appartennero ad Alessandro Calandrelli, triumviro della Repubblica Romana con Mariani e Saliceti, dopo le dimissioni di Mazzini, Saffi e Armellini. Le immagini, estremamente delicate, per esigenze conservative sono esposte a 35 lux.

Sono rare e incerte le notizie sul "pittore-fotografo" Stefano Lecchi, nato intorno al 1805 nel territorio tra Lecco e Milano e scomparso prima del 1863. Probabilmente faceva parte dei protofotografi della Scuola Romana di Fotografia, tra cui Frédérich Flachéron, Eugène Constant e Giacomo Caneva, i quali utilizzarono la nuova tecnica del calotipo, la prima che permetteva di trarre stampe positive da un foglio di carta usato come negativo, ed eseguirono le più antiche vedute fotografiche di Roma. La sua attività nella futura Capitale è attestata dal 1849 al 1859. Le preziose immagini realizzate da Lecchi agli albori della tecnica fotografica ebbero diffusione soprattutto in ambito garibaldino e conobbero un’immediata risonanza grazie alla loro traduzione incisoria che consentiva una più ampia divulgazione rispetto alle prime prove fotografiche. Il fotografo, consapevole che ciò che stava immortalando sarebbe presto scomparso, ne fissava l’immagine per tramandarne la memoria e il significato.

In mostra inoltre una serie di quindici fotografie scattate nell’estate 2011 da Marcello Benassai, Andrea Sabbadini e Lorenzo Scaramella negli stessi luoghi e, ove possibile, con le stesse inquadrature delle immagini di Lecchi. Le fotografie contemporanee sono state accostate, per un confronto immediato, ai relativi ingrandimenti delle fotografie antiche, "ricostruendo oggi, per quanto possibile, il punto di vista e le condizioni di luce delle antiche fotografie: un percorso della memoria che lega gli avvenimenti del passato ad una nuova riflessione sui mutamenti urbanistici, sociali, culturali della nostra città", come spiega Simonetta Buttò, direttore della Biblioteca di Storia moderna e contemporanea. "Quello che è ormai riconosciuto come il primo reportage fotografico di guerra fu almeno in parte esposto alla grande Mostra del Risorgimento, tenuta a Roma nel 1911 per celebrare i cinquanta anni dell’Unità d’Italia".

L’esposizione è completata dal catalogo a cura di Maria Pia Critelli (Palombi editori).

di Cinzia Dal Maso

 

TERMINATA 05/11/2011

Le foto di Marco Bottani al Caffè Letterario di via Ostiense

Scatti e riscatto del tricolore

Nel centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, tra celebrazioni e feste varie, non poteva mancare un omaggio a uno dei più forti simboli del nostro Paese, il tricolore. Per quel simbolo i nostri giovani affrontarono battaglie e morte, carcere e sofferenze. "Tre colori tra i colori. Scatti e riscatto del tricolore" è un interessante progetto patrocinato dalla Regione Lazio. Da stasera alle 19 - quando ci saranno l’inaugurazione e la presentazione alla stampa - fino al 5 novembre, il Caffè letterario di via Ostiense 95 ospita una ricca selezione di 150 fotografie realizzate da Marco Bottani, nelle quali i colori nazionali si intrecciano con la realtà quotidiana. Il Tricolore si svela in contesti inusuali e casuali, diventando involontario e sorprendente protagonista di una esposizione curiosa, divertente ed emozionante, che si avvale del supporto dell’Associazione culturale ArteOltre. L’artista si mescola tra la vita e le emozioni della gente, scoprendo il bianco il rosso e il verde in luoghi e in frangesti inusuali e del tutto inaspettati, in un cantiere o per la strada, attraverso angolazioni e simbolismi inediti.

Sessanta le opere in mostra per cogliere, rappresentare, ma soprattutto raccontare la trilogia cromatica della nostra bandiera in diversi contesti, immortalati nella loro vicinanza sia intenzionale che casuale: in città e in vacanza, in Italia e all’estero, nei gesti quotidiani ma anche nelle occasioni ufficiali e solenni.

Il progetto, nato da un attento e accurato lavoro fotografico intrapreso da molti anni, ma  formalizzatosi solo nel 2011, vuole sostenere in modo spontaneo, semplice e universale il sentimento italiano, senza cadere nella trappola di una scontata retorica. 

di Alessandro Venditti

 

 

Con la Panini si impara divertendosi

Tornano le figurine della "Storia del Risorgimento Italiano"

Certo le maestre da oggi in poi saranno ben felici di far entrare le figurine nelle aule scolastiche, perché potranno aiutare i bambini a studiare. E’ infatti arrivata in edicola la riedizione della "Storia del Risorgimento" della Panini già uscita nel 1969 e nel 1975, un modo utile e divertente per festeggiare l’anniversario dell’Unità nazionale.

Nell’album di 32 pagine, troveranno via via posto le 204 figurine della raccolta, per compiere un affascinante viaggio nel tempo, dalle società segrete ai moti mazziniani, dalla Repubblica di Venezia alle Cinque Giornate di Milano, dalle guerre di Indipendenza alla Repubblica Romana, dalla Spedizione dei Mille alla proclamazione del Regno d’Italia e a Roma Capitale, tutti i più importanti avvenimenti trovano posto in questa collezione.

Non potevano mancare le figurine dei maggiori protagonisti di quegli anni: ci sono Giuseppe Garibaldi, il Conte di Cavour, ma anche Carlo Alberto, Pio IX, i fratelli Bandiera, Ciro Menotti, Giuseppe Mazzini e tanti altri.

Nei pacchetti si possono trovare anche 24 figurine speciali in raso, che riproducono gli stemmi e le bandiere delle Nazioni e degli eserciti storici.

"Al 150° anniversario dell’Unità d’Italia – spiega la Panini – si unisce un importante traguardo anche per la nostra azienda che festeggia il 50° compleanno. In quest’anno di celebrazioni abbiamo voluto rendere omaggio alla nostra storia con questa nuova edizione di ‘Storia del Risorgimento Italiano’ che mantiene le stesse immagini delle precedenti versioni con una nuova veste grafica e testi revisionati".

di Cinzia Dal Maso

 

 

Uno spazio per la Repubblica Romana e la Memoria Garibaldina

Porta San Pancrazio
si trasforma in museo

Nel giugno del 1849, l’eroica ma vana difesa della neonata Repubblica Romana - messa sotto assedio dalle truppe francesi capeggiate dal generale Oudinot – ebbe come fulcro la porta San Pancrazio, che alla fine dei combattimenti era ridotta un cumulo di macerie. Dopo la restaurazione del governo pontificio, Pio IX incaricò della sua ricostruzione l’architetto Virginio Vespignani, che nel 1854 la eresse nelle attuali forme, sobrie e solenni.

Sicuramente non c’era un luogo più adatto di questo a ospitare il Museo della Repubblica Romana e della Memoria Garibaldina, entrato a far parte del Sistema Musei Civici di Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali, gestito da Zètema Progetto Cultura.

Il complesso monumentale di Porta San Pancrazio non solo è stato ripulito all’esterno, ma è stato recuperato all’interno in ragione dei nuovi allestimenti multimediali del museo, pur nel rispetto delle caratteristiche architettoniche e storiche.

Il percorso espositivo si snoda lungo i quattro piani dell’edificio raccontando le vicende storiche della Repubblica Romana e della tradizione garibaldina, attraverso busti, dipinti, incisioni e cimeli, ma soprattutto grazie a plastici e a un ricchissimo apparato multimediale, per guidare anche i visitatori più giovani alla scoperta dei luoghi, delle date e dei principali protagonisti dei fatti di un periodo di grande fermento politico. Sala dopo sala è così possibile ricostruire l’evoluzione degli eventi che portarono dai moti europei del 1848, passando per la fase liberale di Pio IX, alla precipitosa fuga del pontefice a Gaeta e alla proclamazione della Repubblica Romana sino al suo drammatico epilogo nel luglio 1849, a conclusione dei durissimi scontri che videro le truppe romane opporsi alle soverchianti forze dell’esercito francese accorse in aiuto del Papa.

I momenti salienti della vita della Repubblica Romana sono rievocati attraverso incisioni e bandi storici dell’epoca, mentre i protagonisti rivivono grazie a una raccolta iconografica di dipinti e stampe, oltre a video interattivi; sfogliando un album fotografico virtuale, è invece possibile ripercorrere le storie degli eroi immortalati nelle erme del Gianicolo.

Nel salone al secondo piano - l’ambiente più grande e significativo del complesso - in un video di forte impatto emotivo scorrono le immagini dell’assedio con cui i Francesi strinsero la città tra la primavera e l’estate del 1849, mentre un’animazione che parte dalle foto e dal grande panorama dipinto dal belga Léon Philippet, dà la suggestione della battaglia del 1849 vista da Villa Savorelli, l’attuale Villa Aurelia, quartier generale di Garibaldi. Il panorama si compone di 12 tele - conservate presso la Città di Seraing in Belgio – che, posizionate una accanto all'altra, danno il senso di un’immersione totale nello spazio. Nel plastico del Gianicolo è possibile visualizzare i luoghi e i monumenti chiave dell’epopea, dal tratto di mura a destra e a sinistra della porta a villa Pamphili, al casino dei Quattro Venti, dalla villa del Vascello al fontanone dell’Acqua Paola e al complesso di San Pietro in Montorio.

Le ultime sale sono dedicate ad alcuni dei principali protagonisti che persero la vita nella difesa della Repubblica Romana, come Luciano Manara o Goffredo Mameli, e alla Costituzione della Repubblica Romana, testo di straordinaria modernità emanato con grande fierezza in Campidoglio quando le truppe francesi erano già entrate nella città.

Il percorso di visita prosegue nell’altro corpo dell’edificio, dove sono esposti divise, cimeli, dipinti, armi e ricordi fotografici, che testimoniano la continuità di vita della tradizione garibaldina, protagonista di molta storia del XX secolo.

Il percorso è completato da due video scritti e diretti da Leonardo Petrillo: nella Sala Pio IX, Massimo Wertmuller nei panni di Ciceruacchio è impegnato in un immaginario dialogo con il Pontefice mentre nella Sala dei Giovani Patrioti sei attori raccontano le gesta di altrettanti eroi: Nino Costa (Luca Mannocci); Giovanni Nicotera (Andrea Riso); Goffredo Mameli (Riccardo Floris); Luciano Manara (Giulio Forges Davanzati); Andres Aguyar (Ludgero Dos Santos) e Cristina Trivulzio Belgioioso (Evita Ciri).

Gli interventi di recupero e valorizzazione dell’edificio sono stati finanziati dall’Unità Tecnica di Missione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e condotti dall’area progettazione di Zètema Progetto Cultura in collaborazione con Studio Next Urban Solution sotto la supervisione della Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale.

di Antonio Venditti

 

 

TERMINATA 03/04/2011

La mostra su Garibaldi inaugurata da Francesco Maria Giro

"Tutt’altra Italia io sognavo..."
a Castel Sant’Angelo

E’ stata inaugurata ieri nella Sala Paolina di Castel Sant’Angelo - dal sottosegretario ai Beni culturali Francesco Maria Giro e dal presidente del Comitato per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia Giuliano Amato - la mostra "Garibaldi. Tutt’altra Italia io sognavo…".

Per l’occasione è stato svelato il dipinto su Garibaldi appositamente realizzato da Francesca Leone, figlia del celeberrimo regista.

Secondo il sottosegretario Giro, "si tratta di un altro fondamentale tassello alla vigilia delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Lo spirito patriottico, che animò l’eroe dei due mondi, è una delle più importanti pagine non solo della nostra storia risorgimentale ma anche di quella europea. Non a caso il percorso che caratterizza l’esposizione si snoda attraverso episodi significativi della sua vita come la Repubblica Romana del 1849, la disperata ricerca di sconfiggere i francesi per annettere Roma, le battaglie in Sud America e la difesa delle idee rivoluzionarie della Francia nel 1870".

Garibaldi aveva raggiunto Roma nel dicembre del 1848, insieme a molti altri patrioti, come Angelo Masina e Goffredo Mameli. Tra il 30 aprile e il 30 giugno del 1849 l’Eroe dei Due Mondi organizzò la disperata difesa di Roma contro le truppe francesi del generale Oudinot. Avrebbe abbandonato la città solo il 2 luglio, insieme a quattromila fanti e cinquecento uomini di cavalleria. Tra i primi a schierarsi accanto a lui furono Anita, Ciceruacchio e Ugo Bassi.

Come aggiunge Giro, "il rigore quasi filologico, condotto nell’allestimento dai due curatori Lorenzo Zichichi e Cristina Tronca, ci consente di ammirare documenti autentici e rivisitazioni in chiave contemporanea alternate alla biografia degli eventi".
Erano presenti all’inaugurazione la soprintendente per il Polo Museale di Roma, Rossella Vodret e il curatore della mostra Lorenzo Zichichi.

Tra le molte opere in esposizione, il dipinto di Renato Guttuso "La Battaglia del Ponte dell'Ammiraglio" e il bozzetto per un'opera di grandi dimensioni di Piero Guccione dal titolo "Il muro del Mare".

Il racconto biografico dell'Eroe dei Due mondi è accompagnato da dipinti, sculture e cimeli, provenienti da una delle più importanti raccolte private su Garibaldi, la Collezione Tronca. Tra questi, la bandiera della Repubblica Romana, la spada di Luciano Manara morto in difesa di Roma repubblicana e la Quadreria dei ritratti del Generale. In esposizione anche orologi, spade, ceramiche e affreschi. La Collezione Tronca, cominciata oltre trenta anni fa da Francesco Paolo Tronca, è attualmente una delle più ricche non solo di cimeli garibaldini, ma anche della vastissima produzione che si sviluppò intorno al mito dell’eroe oltre che in Italia, in molti paesi europei. Garibaldi può essere considerato il primo personaggio storico italiano che fece innamorare di sé tante nazioni grazie al suo fascino e al suo carisma. Nella maggior parte delle case italiane di fine Ottocento, ma anche in molte di quelle inglesi o francesi, si custodiva, come degno di venerazione, un oggetto che lo riproduceva, magari un piatto, un ricamo o un busto. Le nobili famiglie di fede monarchica preferivano un ritratto in divisa da generale piemontese, mentre le famiglie repubblicane meno abbienti si potevano accontentare di un’incisione acquerellata con l’eroe in camicia rossa.

Un video in italiano e inglese raccoglie gli spezzoni dei film ispirati all’epopea garibaldina.

La mostra è organizzata dal Cigno edizioni – che cura anche il catalogo - con la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Roma, in partnership con il Giornale di Sicilia e con il patrocinio della Regione Lazio Assessorato alla Cultura, della Regione Siciliana Assessorato dei Beni Culturali e dell'Identità  Siciliana.

Media partners Giornale di Sicilia e Telesia.

Sarà possibile visitare la mostra fino al 3 aprile 2011, dal martedì alla domenica, con orario 9 – 19. Tel. 066819111. Entrata da Lungotevere di Castello, 50. Ingresso 8,00 euro.

di Antonio Venditti

SPECIALE RISORGIMENTO - SPECCHIO ROMANO

 

 

TERMINATA 16/01/2011

DA FRANCESCO HAYEZ A GEROLAMO INDUNO, L’EPOPEA DELL’UNITÀ ITALIANA

I PITTORI DEL RISORGIMENTO 
ALLE SCUDERIE DEL QUIRINALE

Proseguono le iniziative che fanno da contorno alle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d'Italia. Le Scuderie del Quirinale ospitano, fino al 16 gennaio 2011, una grande mostra per illustrare come la pittura italiana abbia rappresentato gli eventi che portarono il Paese alla conquista dell'indipendenza e dell'unità nazionale, "1861. I pittori del Risorgimento", a cura di Fernando Mazzocca e Carlo Sisi, con la collaborazione di Anna Villari.

L’esposizione segue il racconto di alcune delle vicende più importanti della nostra storia, partendo dai fatti rivoluzionari del 1848 - indispensabile premessa per capire le vicende dal 1859 al 1861 - dal mito delle Cinque giornate di Milano e da quello della difesa della Repubblica Romana.

Si possono ammirare opere di alcuni dei maggiori artisti dell’epoca risorgimentale e scoprire come Francesco Hayez, Giuseppe Molteni, Domenico e Gerolamo Induno, Eleuterio Pagliano, Federico Faruffini, Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Odoardo Borrani, Michele Cammarano o Giuseppe Sciuti abbiano letto gli accadimenti di quegli anni, privilegiando, nella maggior parte dei casi,  una commossa rappresentazione dell'adesione popolare piuttosto che una più scontata e retorica celebrazione. Vengono messi a confronto, per la prima volta, i monumentali dipinti di Giovanni Fattori e Gerolamo Induno, per mettere in luce come entrambi gli artisti, pur con linguaggi diversi, tendessero a uno stesso obiettivo: rappresentare le fondamentali battaglie per la conquista dell'Unità spostando l'attenzione dagli aspetti militari a quelli ideali e popolari.

Definito da Garibaldi uno dei più "intrepidi e valorosi combattenti di Roma", durante l’assedio francese della città Gerolamo Induno fu impegnato nell’occupazione del Vascello. Il 22 giugno del 1849, per ordine di Garibaldi, due compagnie del generale Medici tentarono di impadronirsi della casa Barberini, all’interno di villa Sciarra. I patrioti riuscirono a penetrare nella casa, ma dovettero ritirarsi dopo una furiosa mischia nel cortile e nelle stanze. Durante quell’operazione, Gerolamo Induno fu gravemente ferito da 27 colpi di baionetta e cadde da una terrazza. Due commilitoni lo raccolsero in fin di vita. Fu curato all’ospedale dei Fatebenefratelli, diretto dalla giornalista americana Margaret Fuller Ossoli. Una volta guarito, fu nominato sottotenente e rimase qualche tempo a Roma. Grazie alla protezione del conte Giulio Litta, riuscì a tornare a Milano e negli anni che seguirono espose a Brera alcune opere di tema risorgimentale che ricordavano gli eventi che lo avevano visto protagonista a Roma, come "La difesa del Vascello", "Porta San Pancrazio dopo l’assedio del 1849" o "Trasteverina colpita da una bomba".

Dal 1854 al 1855 partecipò alla campagna di Crimea, militando nel corpo dei bersaglieri di Alessandro La Marmora in qualità di pittore-soldato ed eseguendo disegni, studi e resoconti per immagini. Al ritorno in patria quegli schizzi diventarono quadri pieni di sentimenti patriottici, molto apprezzati dalla critica. Tra questi, "La battaglia della Cernaia", commissionata dallo stesso Vittorio Emanuele II, che costituirà un modello per tutta la pittura del periodo, che è possibile ammirare nella mostra.

Tra i più conosciuti artisti dell'epoca, Giovanni Fattori, invece, non partecipò direttamente alla seconda Guerra d'Indipendenza ma seppe rendere, forse più di ogni altro, la dimensione epica del nostro Risorgimento. Nelle opere dei lombardi Eleuterio Pagliano e Federico Faruffini come in quelle del napoletano Michele Cammarano si può riconoscere quel rivoluzionario e impressionante realismo che ispirò l'immaginario cinematografico di registi come Blasetti e Visconti che proprio al racconto del Risorgimento dedicarono alcuni loro capolavori.

Con le delusioni di Villafranca e di Aspromonte, drammaticamente restituiteci dai capolavori dei fratelli Domenico e Gerolamo Induno, la mostra si avvia a conclusione. Il tragico dipinto del Fattori, Lo staffato, è l'opera emblematica di questo periodo, il simbolo delle riflessioni e delle inquietudini che caratterizzarono quegli anni, forse, come è stato definito da molti critici, il più vero e antiretorico monumento ai caduti delle guerre risorgimentali.

di Antonio Venditti e Cinzia Dal Maso

SPECIALE RISORGIMENTO - SPECCHIO ROMANO

 

 

TERMINATA 15/01/2011

Un Convegno in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia

L’apporto dei Barnabiti
all’epopea risorgimentale

Il Centro Studi Storici PP. Barnabiti, in collaborazione con l’Associazione Italiana dei Professori di Storia della Chiesa, ha organizzato il convegno "I Barnabiti nel Risorgimento", che si è svolto il 14 e il 15 gennaio scorsi, in piazza Benedetto Cairoli 117, di lato alla chiesa di San Carlo ai Catinari. Un sito quanto mai significativo, come ha spiegato Filippo Lovison, direttore del Centro Studi, nell’introduzione ai lavori: "se in questa Chiesa e Casa tutto parla dell’amor di Dio e dell’amor di Patria, gli squarci prodotti sulla sua magnifica cupola dal cannoneggiamento dei francesi appostati sul Gianicolo durante la Repubblica Romana del 1849 sono ancor oggi ben visibili sotto il cielo della Città Eterna, ad perpetuam rei memoriam di dure lotte e contrapposte speranze". Nella stessa chiesa i garibaldini seppellivano i loro morti "di riguardo", dopo che i religiosi ne avevano celebrate le esequie. I cadaveri venivano calati nel sottochiesa attraverso una botola aperta davanti alla cappella di Santa Cecilia. "Lo stesso Garibaldi, con le sue mani – ha continuato padre Lovison - volle calare la cassa contenente il cadavere del suo aiutante di campo, l’uruguaiano di Montevideo Andrea Aguyar, morto il 30 giugno 1849". Altre mani pietose nascosero i resti mortali di altri garibaldini nella più sontuosa cappella della Chiesa, quella della famiglia dei marchesi Costaguti.

L’annesso palazzo - a dispetto delle sue atmosfere serie e austere alimentate dai continui giochi di penombra - ospitò nei suoi corridoi centinaia di garibaldini, che qui si ristoravano e spesso imprecavano, reclamando "sangue de’ preti e de’ frati" e giurando morte ai "neri", ossia ai Gesuiti.

Molti e altamente competenti gli interventi dei vari relatori. Monsignor Sergio Pagano ha parlato di "Un’inedita storia del Risorgimento italiano (Soderini-Clementi)", Carlo M. Fiorentino si è soffermato su "La questione romana intorno al 1870", Giancarlo Rocca su "Religiosi nel Risorgimento" e Francesco Margiotta Broglio su "Chiesa e Stato a 150 anni dall’Unità d’Italia". Non potevano essere trascurate tre grandi figure di Barnabiti – patrioti: p. Giovanni Semeria, ricordato da Filippo Lovison, p. Alessandro Gavazzi (Matteo Sanfilippo) e p. Ugo Bassi, "martire dell’indipendenza italiana" (Paolo Rippa). Bassi e Gavazzi sono stati definiti da padre Lovison "i più eloquenti cappellani garibaldini del Risorgimento italiano, la cui azione si deve però confrontare non solo con la rilettura storiografica contemporanea della figura di Garibaldi, quanto con il sentire cum Ecclesia di quell’anima più liberale dell’Ordine dei Barnabiti che essi rappresentavano, e che si contrapponeva a quella detta reazionaria capeggiata dal cardinale Luigi Lambruschini", la cui figura è stata presentata da Roberto Regoli.

Del cardinale Luigi Bilio, uno dei protagonisti del Concilio Vaticano I, si è occupato Andrea Ciampani.

La relazione di p. Mauro Regazzoni ha riguardato "La partecipazione dei Barnabiti al Risorgimento". Va ricordato che i Barnabiti, non solo durante la difesa della Repubblica Romana furono custodi dei pochi oggetti personali dei garibaldini e depositari dei loro ultimi sospiri, ma divennero anche cappellani del Sacrario del Gianicolo, quando vi furono portati i resti degli eroi tolti dai sotterranei di San Carlo ai Catinari.

Il convegno è stato completato dalle visite all’originario cimitero dei garibaldini nel sottochiesa di San Carlo ai Catinari e al Museo Centrale del Risorgimento, nel complesso del Vittoriano, dove sono conservate preziose testimonianze storiche, dai ritratti alle armi utilizzate dagli eroi del Risorgimento; dalla penna di Mazzini alla spada di Garibaldi; dai disegni dei pittori-soldato ai busti-ritratto delle Medaglie d’Oro. Il Museo venne inaugurato nel 1911 ed era destinato a celebrare il Re Vittorio Emanuele II e l’intera stagione risorgimentale. E’ un vero crocevia d’Italia, come ha spiegato il suo direttore, Marco Pizzo. Qui oggetti diversi "oggi sono diventati dei veri e propri documenti, delle testimonianze puntuali e rievocative dei fatti e dei protagonisti dell’epopea risorgimentale".

Dell’argomento si parlerà a Nuova Spazio Radio (88.100 MHz), a "Questa è Roma", il programma ideato e condotto da Maria Pia Partisani, in studio con Livia Ventimiglia il martedì dalle 14 alle 15 e in replica il sabato dalle 10 alle 11.

di Cinzia Dal Maso

18 gennaio 2011

SPECIALE RISORGIMENTO - SPECCHIO ROMANO

 

 

TERMINATA 09/01/2011

PITTURA PATRIOTTICA NELLA ROMA DELL’OTTOCENTO

IL RISORGIMENTO A COLORI
A PALAZZO BRASCHI

 

Tra il 1849 e il 1870 Roma fu protagonista di avvenimenti eroici e drammatici che portarono all’unità d’Italia: un’epopea che ha riempito centinaia e centinaia di libri. C’è poi una storia parallela, quella scritta con il pennello dai tanti artisti italiani e stranieri che hanno voluto fermare immagini grandiose o intime, dalla concitazione delle battaglie al riposo di una sentinella, dalla tristezza dell’esule alle scene di grande respiro ambientate nelle piazze storiche, dal Quirinale al Campidoglio.

Fino al 9 gennaio 2010, il Museo di Roma di Palazzo Braschi ospita la mostra "Il Risorgimento a colori: pittori, patrioti e patrioti pittori nella Roma del XIX secolo", a cura di Maria Elisa Tittoni con Patrizia Masini, Rossella Leone e Isabella Colucci per la sezione di pittura, Simonetta Tozzi e Angela D’Amelio per la sezione di grafica.

L’esposizione – inserita nelle iniziative "Roma: Capitale d’Italia da 140 anni" - è promossa dal Comune di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali, con l’organizzazione e servizi museali di Zètema Progetto Cultura.

Le circa cento opere selezionate - dipinti, sculture e opere grafiche provenienti dalle collezioni del Museo di Roma e da altre raccolte italiane pubbliche e private - illustrano, sia attraverso i tradizionali schemi accademici sia con un innovativo linguaggio tra cronaca ed epopea, ricco di sentimento e passione, venti anni di storia cittadina. Ci sono i dipinti di Dario Querci, Carlo De Paris, Michelangelo Pacetti, George Housman Thomas, Gerolamo Induno, Michele Cammarano, Carlo Ademollo, Gioacchino Toma, Onorato Carlandi. Si inizia lo straordinario quadro di Ippolito Caffi che descrive l’entusiasmo popolare in Piazza del Quirinale per la concessione dello Statuto da parte di Pio IX, mentre una tela di Antonio Malchiodi rievoca la figura del tribuno di Trastevere Angelo Brunetti, soprannominato Ciceruacchio.

Particolarmente significativa la sezione dedicata alla breve ma intensa esperienza della Repubblica Romana del ’49. Due grandi dipinti fissano l’immagine dei maggiori protagonisti: Giuseppe Mazzini che in Campidoglio annuncia ai romani l’istituzione della Repubblica, di Dario Querci, e Garibaldi nell’assedio di Roma di George Housman Thomas. In alcuni dipinti di Gerolamo Induno e Giambattista Bassi emerge tutta la desolazione dei luoghi bombardati.

Il ritorno del pontefice nella città occupata dalle truppe francesi, nell’aprile del 1850, venne celebrato da artisti fedeli al regime. Una serie di opere illustra le iniziative di Pio IX dopo l’esilio di Gaeta: la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione e l’inaugurazione della colonna, dedicata alla Vergine, in piazza di Spagna; la commissione di importanti scavi archeologici che portarono al ritrovamento dell’Ercole Righetti presso Campo de’ Fiori e dell’Augusto a Prima Porta; la macchina pirotecnica incendiata sul Pincio per la festività dei Santi Pietro e Paolo.

Seguono le tele di Michele Cammarano e Archimede Tranzi che rievocano la breccia di Porta Pia. La partecipazione di aristocratici e popolo affinché si realizzi la nuova realtà politica di Roma capitale è ricordata in una bella scena di genere di Pietro Saporetti.

L’esposizione pittorica è integrata dalla sezione dedicata alla grafica, presentata nelle due nuove sale con accesso dal cortile di Palazzo Braschi, aperte al pubblico in questa occasione. Qui è ospitata la documentazione degli avvenimenti romani tra il 1846 - anno di elezione di Pio IX - e il 1870 in 49 opere - disegni, incisioni e libri rari - alcune esposte per la prima volta. Si va dall’istituzione della Guardia Civica alla realizzazione degli imponenti apparati effimeri innalzati nelle piazze cittadine in onore del papa. La proclamazione delle Repubblica Romana e i cruenti scontri durante l’assedio del ’49 tra truppe francesi e romane sono illustrati nelle famose litografie delle Rovine della guerra di Roma del 1849 e nei panorami di Kandler e Andreae che ritraggono l’assedio da Villa Pamphilj e da Palazzo Caffarelli.

Molto ammirato soprattutto dalle visitatrici della mostra il prezioso abito di Roberto Capucci Angelo Barocco, realizzato nel 1987 e personalizzato per l'occasione, proveniente dall’Archivio Storico Fondazione Roberto Capucci.

di Cinzia Dal Maso e Antonio Venditti

SPECIALE RISORGIMENTO - SPECCHIO ROMANO

 

 

TERMINATA 09/01/2011

Una mostra al Museo di Roma in Trastevere

IL RISORGIMENTO DEI ROMANI 
NELLE FOTO DAL 1849 AL 1870

La gloriosa e tragica esperienza della Repubblica Romana del 1849 assediata dalle truppe francesi del generale Oudinot e la lunga attesa per arrivare alla breccia di Porta Pia rivivono al Museo di Roma in Trastevere fino al 9 gennaio 2011 nelle circa 100 foto della mostra "Il Risorgimento dei romani. Fotografie dal 1849 al 1870", a cura di Maria Elisa Tittoni, Anita Margiotta e Fabio Betti.

Si tratta per la maggior parte di fotografie originali, fra cui antiche carte salate e stampe albuminate di medio e grande formato, oltre a piccole vedute stereoscopiche e ritratti, nel formato allora molto diffuso, della carte-de-visite. La quasi totalità delle immagini proviene dalle collezioni del Museo di Roma – Archivio Fotografico Comunale, integrate da alcuni prestiti provenienti dal Museo Napoleonico e da alcune riproduzioni fotografiche di opere della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma.

Accanto alla documentazione delle operazioni militari, sono esposte immagini dei luoghi simbolo della città e del potere temporale del Papa – San Pietro, il Campidoglio, Castel Sant’Angelo trasformato in fortezza francese, Palazzo Farnese sede dei Borboni di Napoli in esilio, l’inaugurazione del ponte di ferro di San Paolo, il viaggio in treno di Pio IX - che testimoniano la particolare atmosfera in cui Roma e i romani si trovarono a vivere gli eventi precedenti la nascita del regno italiano nei lunghi anni fra il 1861 ed il 20 settembre 1870, trascorsi ancora sotto il governo pontificio. Di molti eventi di questi ultimi anni troviamo eco nelle fotografie, dai tumulti che portarono allo scoppio della bomba nella caserma Serristori degli zuavi pontifici all’assassinio degli attentatori Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, fino alla battaglia di Mentana.

Come il Risorgimento rivoluzionava l’assetto politico italiano ed europeo, così nella seconda metà dell’800 la fotografia trasformava il sistema riproduttivo. A Roma, la tecnica si afferma soprattutto nel campo della ripresa di vedute e monumenti, ma alcune immagini, pur nel loro intento documentaristico e vedutistico e nonostante la severa censura pontificia, dimostrano un coinvolgimento negli ideali liberali, grazie alla duttilità del nuovo mezzo che facilmente si adeguò alle specifiche istanze storiche e culturali del periodo.

L’affermarsi del ritratto fotografico contribuì notevolmente alla diffusione delle sembianze dei protagonisti del Risorgimento: il generale Avezzana, Aurelio Saffi, Angelo Brunetti, noto come Ciceruacchio, Massimo D’Azeglio, Terenzio Mamiani, Giuseppe Garibaldi, i fratelli Cairoli, Giuditta Tavani Arquati. Si diffonde anche la raccolta e il collezionismo delle piccole carte-de-visite, scambiate come biglietti da visita, spesso con autografo del soggetto ritratto.

L’importanza propagandistica e divulgativa del nuovo mezzo è tuttavia subito evidente anche ai vertici dello Stato Pontificio, che lo utilizzano per diffondere volti e avvenimenti, dai ritratti di Pio IX e della sua corte, alle esercitazioni militari delle truppe pontificie ad Anzio e Rocca di Papa.

Roma diventa crocevia internazionale dei primi fotografi, che si riuniscono al Caffè Greco e condividono esperienze di lavoro e stile di vita dei romani, degli artisti e dei patrioti ritratti nelle loro fotografie. Sono presenti in mostra opere di Giacomo Caneva, Eugène Constant, James Anderson, Ludovico Tuminello, Gioacchino Altobelli, i fratelli D’Alessandri e altri, per quanto riguarda le carte de visite, sono presenti i maggiori studi fotografici italiani ed europei del periodo.

I reportage di guerra ottocenteschi venivano sempre realizzati ad avvenimenti bellici conclusi; in essi manca l’azione e sono le vedute degli edifici bombardati o il paesaggio con il campo di battaglia, privo degli opposti schieramenti, a dominare l’inquadratura. La fotografia ricostruisce, con immagini riprese a posteriori, l’epopea eroica del Risorgimento e tramanda il ruolo della città eterna nella storia dell’unità d’Italia.

L’esposizione è promossa dal Comune di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali con l’organizzazione e i servizi museali di Zètema Progetto Cultura e rientra nelle iniziative "Roma: Capitale d’Italia da 140 anni".

di Antonio Venditti e Cinzia Dal Maso

SPECIALE RISORGIMENTO - SPECCHIO ROMANO

 

 

TERMINATA AL 02/01/2011

LA SPEDIZIONE DI ROMA DEL 1849 ATTRAVERSO LE LITOGRAFIE DI RAFFET

"SOUVENIRS D’ITALIE" AL MUSEO NAPOLEONICO

Il 25 aprile del 1849 un corpo di spedizione francese, composto da 7 mila uomini al comando del generale Oudinot, duca di Reggio, sbarcava a Civitavecchia, per restaurare il potere pontificio sopprimendo la neonata Repubblica Romana. Il 30 aprile, 5 mila soldati francesi erano di fronte a porta Cavalleggeri, a porta San Pancrazio e a porta Angelica. Oudinot pensava di non incontrare resistenza, ritenendo che la difesa di Roma fosse costituita da qualche centinaio di esuli. Invece, l’allarme per tutte le vie di Roma era stato dato fin dalla sera prima. I francesi si meravigliarono non poco quando, il mattino del 30 aprile, alle loro perentorie intimidazioni di resa udirono rispondere prima le campane di Montecitorio e del Campidoglio e subito dopo i cannoni e i moschetti. I combattimenti durarono fino a sera. La guardia civica mobilizzata, comandata dal Masi, e le colonne mobili di Garibaldi e Galletti costrinsero i Francesi a una ritirata disordinata che lasciò sul campo più di 500 morti e 365 prigionieri.

Il 15 maggio si era raggiunta quella che sembrava una vittoria della diplomazia di Mazzini: una tregua d’armi con i Francesi di 20 giorni, pattuita con il plenipotenziario Lesseps. Seguì un trattato in cui quella francese doveva essere considerata dai romani "un’armata amica che viene a concorrere alla difesa del loro territorio". Luigi Napoleone, però, andava maturando ben altri propositi e il 29 maggio inviava due dispacci, uno al gen. Oudinot per ordinargli di procedere all’assalto di Roma e l’altro a Lesseps, intimandogli di tornare in Francia. Oudinot denunciò la tregua e annunciò che avrebbe ripreso i combattimenti da lunedì 4 giugno. Non fu di parola. Nella notte che precedeva il 3 giugno due colonne francesi si impadronirono delle ville Pamphili, Corsini (o dei Quattro Venti) e Valentini, sorprendendo nel sonno i difensori, che per tutta la domenica tentarono di riconquistarle, subendo dure perdite. Le sorti della Repubblica erano segnate: troppa era la sproporzione tra le forze degli attaccanti e quelle degli attaccati.

La difesa proseguì fino al 30 giugno, registrando innumerevoli atti di eroismo e la morte di tanti patrioti. Il 3 luglio Oudinot entrava a Roma.

Al seguito della spedizione francese era anche Denis-Auguste-Marie Raffet (1804-1860), un illustratore di chiara fama, che aveva riscosso un enorme successo con numerose litografie sulle campagne napoleoniche. Raffet eseguì molti schizzi e disegni, rielaborando i quali avrebbe realizzato, tra il 1850 e il 1859, trentadue litografie, che con altre quattro tratte subito dopo la sua morte, costituiscono l’album "Souvenirs d’Italie. Expédition de Rome": non solo un prodotto artistico di altissimo livello, ma anche un importante documento storico che va dallo sbarco di Civitavecchia fino alla benedizione impartita il 18 aprile del 1850 da Pio IX all’armata che lo aveva riportato sul trono pontificio. Le incisioni presentano l’accuratezza e la precisione descrittiva proprie dello stile di Raffet, ma anche un’abile resa dei contrasti chiaroscurali e una sapiente impaginazione delle scene di battaglia e dei movimenti strategici delle truppe. Minuziosa l’attenzione con cui l’artista delinea le diverse divise del corpo di spedizione, tanto che si è potuto affermare che queste litografie possano costituire un vero e proprio repertorio delle uniformi dell’esercito francese dell’epoca. Raffet non predilige concitate scene di battaglia, ma racconta piuttosto la vita di trincea e le lunghe attese dei soldati dietro la prima linea: vero protagonista è il fronte, non tanto la città assediata.

Le litografie non furono immediatamente raccolte in un volume, ma probabilmente pubblicate man mano che venivano eseguite a partire dal 1852, data che compare nel frontespizio dell’edizione a cura di Gihaut Frères a Parigi.

Le 36 litografie dell’album saranno esposte fino al prossimo 10 ottobre nella sala VIII del Museo Napoleonico, in piazza di Ponte Umberto I, 1.

L’Album, che reca la dedica al principe Anatole Demidoff, marito di Matilde Bonaparte e committente di varie opere di Raffet, è stato acquistato nel 2005 dalla Regione Lazio e destinato alla Biblioteca del Museo Napoleonico.

L’esposizione è promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione – Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma in collaborazione con Zètema- Progetto Cultura.

di Antonio Venditti e Cinzia Dal Maso

SPECIALE RISORGIMENTO - SPECCHIO ROMANO

 

 

TERMINATA 10/10/2010

A Palazzo Venezia, nella mostra “Persone”, uno dei suoi quadri

Girolamo Induno, pittore e patriota

Una strada, a Trastevere, ricorda Girolamo Induno (Milano 1827-1890), singolare figura di artista e combattente del Risorgimento. Nel 1848 partecipò alle Cinque giornate di Milano e si distinse nel ’49 tra gli eroici difensori della Repubblica Romana. Proprio nella città eterna, colpito da decine di colpi di baionetta durante l’attacco a Villa Barberini, scampò miracolosamente alla morte. Nel periodo della lunga convalescenza, studiò attentamente i paesaggi romani che, una volta ripreso, sarebbero diventati lo sfondo dei suoi appassionati quadri storici. L’amore per l’arte lo accompagnò sempre sui campi di battaglia: anche nelle spedizioni successive, infatti, combatté e realizzò dal vero gli schizzi che gli sarebbero poi serviti per dipingere celebri tele come “La battaglia della Cernaia”, acquistata dal re Vittorio Emanuele II nel 1859.

A Palazzo Venezia, in questi giorni, è possibile ammirare alla mostra “Persone. Ritratti di gruppo da Van Dyck a De Chirico”, una delle sue opere, un olio su tela del 1879, proveniente dal Museo del Risorgimento di Milano.“Si tratta della rievocazione di un episodio del 30 gennaio 1875”, spiega Franco Ragazzi nel catalogo della ricca esposizione (Silvana Editoriale, 254 pagine, euro 34). “E’ una visita – continua lo studioso, descrivendo il quadro - di Garibaldi al re Vittorio Emanuele II che lo riceve a Roma, al Quirinale, accompagnato dal Generale Giacomo Medici del Vascello, suo luogotenente in tutte le campagne garibaldine dai tempi di Montevideo ed eroe della Repubblica Romana del 1849. Dopo il 1849 era la prima volta che Garibaldi tornava a Roma, diventata nel 1871 capitale del regno, per partecipare, anche se per pochissimo, ai lavori parlamentari. Garibaldi ormai lasciava Caprera raramente, circostanza che fece della visita romana e dell’incontro con il re un avvenimento, dipinto da Induno anche in un'altra versione con un numero maggiore di personaggi. L’epopea eroica del Risorgimento – sottolinea Franco Ragazzi - era finita, non esisteva più lo spirito dell’incontro di Teano, Garibaldi aveva esaurito la fiducia un tempo riposta nella monarchia. Il generale, appesantito dagli anni, acciaccato dai reumatismi sempre più gravi che lo costringevano a sorreggersi sulle grucce, concede al re che aveva disapprovato le sue spedizioni per la liberazione di Roma e addirittura ordinato di far fuoco su di lui, di stringergli la mano”.

di Annalisa Venditti

SPECIALE RISORGIMENTO - SPECCHIO ROMANO

 

 

TERMINATA 16/10/2005

CON LE SUE VIGNETTE SPIETATE ACCOMPAGNÒ LA STORIA DELLA REPUBBLICA ROMANA

LA SATIRA DISSACRANTE DEL "DON PIRLONE"

L’elezione di Pio IX, avvenuta il 16 giugno 1846, e la cauta azione riformatrice del pontefice, avevano suscitato molti entusiasmi tra i sudditi dello stato della Chiesa.

Di fatto, tra il 1847 e il 1849 ci fu uno straordinario sviluppo del libero giornalismo d’opinione, anche se arginato da alcuni veti.

Il 15 marzo 1847 fu pubblicato l’editto del cardinale Gizzi, segretario di stato, che – mantenendo anche le regole di controllo preventivo - istitutiva un consiglio di censura eletto dal Papa e composto da cinque membri, quattro dei quali laici. Nell’editto di leggeva tra l’altro: "sarà lecito parlare  di argomenti di scienza, lettere ed arti e storia contemporanea". Quest’ultimo punto rese necessaria una precisazione a opera del cardinal Ferretti, che in una circolare specificava come per storia contemporanea si dovessero intendere "i fatti realmente  accaduti o che vadano accadendo e non l’alta politica  interna o internazionale". Sotto la pressione dei movimenti liberali, comunque, la censura non ebbe troppo peso.

Con lo Statuto Fondamentale concesso da Pio IX il 14 marzo 1848 fu ratificata anche la legge sulla stampa, regolamentata il 3 giugno successivo: era contemplata la presenza di un direttore responsabile, mentre ogni cittadino in possesso di determinati requisiti e nel rispetto di alcune regole poteva liberamente pubblicare.

La concessione dello Statuto fu celebrata con la fondazione di un quotidiano di stampo liberale, "L’Epoca", che anche nel nome si voleva riferire all’avvento di un nuovo periodo di progresso. Il 29 aprile, però, Pio IX, pronunciando la famosa allocuzione "Non semel" con la quale sconfessava l’azione del suo esercito e la guerra all’Austria, attirò su di sé diffidenze e malumori. Proprio questo periodo vide la nascita di molti giornali umoristico-satirici. Tra i più famosi, il "Don Pirlone", quotidiano di caricature politiche fondato dai liberali de "L’Epoca", il cui primo numero uscì il 1° settembre del 1848. Le sue vignette sferzanti e spietate erano destinate a fare epoca. Anche se ispirate al più intollerante spirito anticlericale, avevano un tale spirito mordente che molto spesso gli stessi avversari furono costretti ad ammetterne l’efficacia. Molte delle illustrazioni ironizzavano sui  personaggi dell’epoca e sull’indecisione politica di regnanti italiani ed europei.Altre si basavano su episodi della storia contemporanea della penisola, della cronaca cittadina di Roma o dello Stato Pontificio.

In tempi piuttosto recenti è stato scoperto, all’interno del fondo iconografico del Museo Centrale del Risorgimento, un gruppo di 50 disegni preparatori, con annotazioni manoscritte e note della censura ecclesiastica, che dopo essere stato oggetto di un accurato intervento di restauro, ha dato vita, nel 1995, alla mostra "La satira restaurata. Disegni del 1848 per il Don Pirlone",curata da Marco Pizzo e allestita nell’Ala Brasini del Museo Centrale del Risorgimento di Roma.

Il nome del giornale derivava da quello di una maschera ideata nel 1711 da Gigli a Siena come esempio di ipocrisia mascherata. L’ottuso benpensante Don Pirlone è raffigurato sulla copertina di ogni numero avvolto in un mantello gonfiato dal vento e con un cappello a falda larga, accompagnato dal motto "ntendemi chi può, ch’i m’intend’io". Tutti gli articoli erano rigorosamente anonimi.

A Roma ebbe una larga diffusione, arrivando a contare ben mille e 200 abbonamenti.

Pellegrino Rossi, ministro dell’Interno del governo pontificio tentò di censurarlo con una notificazione del Consiglio del 3 ottobre. La polemica che ne seguì esasperò ulteriormente un clima già molto teso, che avrebbe portato, il 15 novembre successivo, all’assassinio di Pellegrino Rossi. "L’Epoca", pur condannando l’omicidio, ricordava, tra i torti più gravi del defunto ministro, proprio il processo contro il "Don Pirlone", un’occasione in cui "si corrompevano i giudici perché pronunziassero contro di quello un’assurda condanna a schiacciare il coraggio sommo civile addimostrato e si ponea la prima pietra di schiavitù sulla libera manifestazione del pensiero".

Di lì a poco – il 24 novembre – il Pontefice fuggiva a Gaeta. Il 9 febbraio del 1849, in Campidoglio, veniva solennemente proclamata la Repubblica Romana. Il "Don Pirlone" ne avrebbe accompagnato la vita con la sua dissacrante satira, fino al tragico epilogo e alla fine gloriosa. L’ultimo numero uscì il 2 luglio 1849. Il giorno seguente le truppe francesi entravano a Roma.

di Cinzia Dal Maso

SPECIALE RISORGIMENTO - SPECCHIO ROMANO

 

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