Un edificio seicentesco semidistrutto nel 1849
Villa Spada sul Gianicolo
A due passi dal Fontanone del Gianicolo, in via Giacomo Medici, un
basso muro di cinta circonda il giardino di villa Spada, con il suo
elegante edificio innalzato dall'architetto Francesco Maria Baratta.
Il nome del committente e l’anno della costruzione compaiono in una
lunga iscrizione latina che si trova nell’attico, tra due finestre.
Ecco la traduzione: “Villa Nobili. Viandante, sappi che qui, ove
vedi la casa edificata da Vincenzo Nobili per ricreare gli animi fra
le bellezze della natura, Cesare Augusto aveva costruito l’emissario
dell’acqua denominata con il suo nome, originata dal lago Alsietino,
a quattordici miglia da Roma e condotta nella regione di Trastevere.
Vai lieto e addio. Anno 1639”. Infatti l’acqua che in un primo tempo
era chiamata Augusta, fin dal 2 a. C. era captata dal lago Alsietino,
oggi di Martignano, per alimentare la Naumachia di Trastevere, dove
giungeva passando per il Gianicolo. Il nome di villa Spada compare
per la prima volta nel 1748, nella pianta di Roma di Giovan Battista
Nolli, dove si riconoscono la proprietà attraversata
longitudinalmente da due vialetti rettilinei e la palazzina, di
proprietà del principe don Giuseppe Spada Veralli. Purtroppo
l’edificio originario è andato quasi completamente distrutto nel
1849, durante gli ultimi scontri per la difesa della Repubblica
Romana. I francesi avevano aperto delle brecce nelle mura
Gianicolensi e nella notte del 21 giugno ne avevano occupato la
sommità. Garibaldi e Luciano Manara avevano deciso di continuare la
resistenza utilizzando una linea difensiva più arretrata costituita
da un tratto di mura Aureliane che partivano da porta San Pancrazio
e - costeggiando San Pietro in Montorio e la fontana dell’Acqua
Paola – scendevano verso il Tevere passando per San Cosimato. Lo
stato maggiore di Garibaldi si era insediato proprio a villa Spada.
La battaglia finale si combatté il 30 giugno. Manara e i suoi
bersaglieri erano asserragliati nella villa e disposti su tutti e
tre i piani. I francesi avevano circondato l’edificio e lo
sottoponevano a un tremendo bombardamento e a incessanti scariche di
fucileria. “Le
cannonate e le bombe vi piovevano dentro da ogni lato. Le fucilate
si scambiavano dalle finestre. Io e Luciano andavamo di camera in
camera ad incoraggiare i soldati”, avrebbe raccontato quello stesso
giorno Emilio Dandolo in una struggente lettera indirizzata alla
moglie di Manara. “Una palla colpì il povero Luciano alla bocca
dello stomaco e gli uscì dalla schiena. Fece tre passi, e io accorsi
e lo presi in braccio. Ho pochi momenti da vivere, mi disse: ti
raccomando i miei figli: e mi diede un bacio”, continuava Dandolo.
Manara fu portato a Santa Maria della Scala, dove era allestito un
ospedale. Accorse Agostino Bertani, ma il medico non poté salvare
quella giovane vita.
La villa venne ricostruita seguendo il disegno originale. La
facciata principale, color panna su cui spiccano le decorazioni in
grigio, è preceduta da una doppia scalinata a tenaglia, al cui
centro è una piccola fontana a conchiglia. L'ingresso è costituito
da una semplice porta incorniciata e sovrastata da uno stemma
gentilizio. Ai lati della porta due finestre sono sormontate da
cornici ovali. Al piano superiore c’è una finestra affiancata da due
cornici rettangolari, ognuna sormontata da un’aquila.
La facciata posteriore, per il dislivello del terreno, ha sotto il
piano nobile un altro piano. Il portone d’ingresso è sormontato da
cinque finestre.
Attualmente la villa è sede dell’Ambasciata d’Irlanda presso la
Repubblica italiana.
di
Cinzia Dal
Maso
12 luglio 2019
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