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Storia di una pasquinata
Peggio i barbari oppure i Barberini?

 

 

Nel 1625 saliva al soglio pontificio Urbano VIII, al secolo Maffeo Barberini, uomo ambizioso e autoritario, ma anche colto, amante del fasto e mecenate di artisti.

Arricchì Roma di fontane e di palazzi, la fornì di nuove vie e piazze, ne abbellì le chiese.

Si prese però parecchie libertà. Serviva una grande quantità di bronzo per realizzare il baldacchino di San Pietro, capolavoro di Gian Lorenzo Bernini, e per dotare Castel Sant’Angelo di altri cannoni? Il Papa se lo procurava niente meno che nel Pantheon, facendo asportare il metallo che rivestiva le travature del pronao del tempio meglio conservato della città e che stava lì dal tempo dell’imperatore Adriano. Raccontava Giacinto Gigli nelle sue Memorie che “il popolo andava curiosamente a veder disfare una tanta opera e non poteva far di meno di non sentir dispiacere et dolersi che una si bella antichità che sola era rimasta intatta dalle offese dei barbari e poteva dirsi opera veramente eterna, fosse ora disfatta”. Per costruire palazzo Barberini il Papa organizzò un vero e proprio saccheggio dei marmi del Colosseo. Tali e tante furono le spoliazioni di materiali archeologici effettuate anche dai suoi parenti, da dare origine a una pasquinata destinata a diventare famosa: “Quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini”, quello che non hanno fatto i barbari lo hanno fatto i Barberini. Autore del pungente motto era stato monsignor Carlo Castelli, ambasciatore del Duca di Mantova, canonico di Santa Maria in Cosmedin, e protonotaro apostolico, che però sul letto di morte avrebbe chiesto perdono a Urbano VIII.

di Alessandro Venditti
15
luglio  201
8
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