Omaggio allo
statista, scrittore e pittore a 150 anni dalla morte
Tavola rotonda
su Massimo d’Azeglio
L’Istituto Internazionale di Studi “Giuseppe Garibaldi”, in
collaborazione con la Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea,
ha organizzato una tavola rotonda su Massimo Taparelli d’Azeglio
(1798 – 1866). L’incontro si è tenuto a palazzo Antici Mattei,
presso la Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea, nella
ricorrenza del centocinquantesimo anniversario della morte del
grande politico, patriota, pittore e scrittore italiano, avvenuta a
Torino il 15 gennaio 1866.
La conversazione è stata coordinata da Lauro Rossi, storico e autore
di numerosi saggi sulla storia italiana dell’Ottocento.
Carlo Berlich, segretario dell’Istituto Internazionale di Studi
“Giuseppe Garibaldi”, ha sottolineato i punti salienti della
biografia di d’Azeglio, non trascurando la sua attività di pittore.
Quando era arrivato a Roma per la prima volta, nel 1814, era
giovanissimo ed entrò subito in contatto con pittori, musicisti e
poeti. Qualche anno dopo, sempre nella città eterna, frequentò la
scuola del pittore fiammingo Martin Verstappen. “Cercava di
dipingere sempre dal vero”, ha spiegato Berlich. “Con lui nasce il
paesaggio istoriato: i personaggi che lo popolano non sono più
pastori e pastorelle, ma paladini e donzelle, veicolando un
messaggio non solo artistico ma anche storico e ideologico”. Queste
animate scene di cavalieri in procinto di entrare in battaglia
saranno narrate anche in libri destinati a diventare famosi, come
“Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta. Berlich si è soffermato
anche sul soggiorno romano del 1845, durante il quale il nobile
piemontese aveva preso contatto con i liberali romani, condannando
duramente la politica di Gregorio XVI. In una frenetica attività di
scrittore, sfornava opuscoli su opuscoli, meritandosi il soprannome
di “dottor Cacalibretti”.
Secondo Lauro Rossi, d’Azeglio – un personaggio che si presta a
numerose interpretazioni - ha avuto un peso enorme nel processo che
ha portato all’unificazione nazionale. Il suo merito maggiore in
politica è stato il mantenimento dello Statuto Albertino, un fatto
fondamentale che ha segnato il Risorgimento, rendendo il regno di
Vittorio Emanuele II l’unico stato liberale della Penisola, un paese
affidabile a livello europeo.
Era stato infatti il fermo intervento di d’Azeglio, quando era
presidente del Consiglio, a persuadere il sovrano a non revocare lo
Statuto. “Lo statista però – ha continuato – puntava
all’unificazione italiana pur opponendosi ferocemente a Roma
capitale”.
“La fortuna postuma di Massimo d’Azeglio – ha spiegato Franco
Tamassia, direttore dell’Istituto Internazionale di Studi Giuseppe
Garibaldi - risente in parte della sua multiforme e controversa
personalità che passa dalla vocazione originaria per la politica
come impegno culturale, artistico e letterario, alla politica come
impegno di azione istituzionale. Come politico d’azione il giudizio
degli storici è forse ancor più controverso: laico o clericale?
Conservatore per indole che fa di necessità virtù di fronte alla
rivoluzione o liberale che deve realisticamente fare i conti con i
poteri forti della conservazione laica e confessionale? Pensava
veramente all’unità politica di tutta la Penisola o gli avvenimenti
sono andati oltre il prevedibile? Di certo – ha proseguito Tamassia
– è chiara la sua fedeltà alla concezione monarchica. Di certo
l’abolizione dello Statuto sarebbe stata una momentanea vittoria per
i monarchici ottusi, ma ben presto avrebbe suscitato la reazione dei
repubblicani. La nazione italiana non è immatura, è la più antica
d’Europa: questo però sfugge al piemontese d’Azeglio”.
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di
Cinzia Dal
Maso
12 ottobre 2016
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