Da luogo di detenzione a
spazio di libertà per le donne
Il Buon Pastore:
una storia al femminile
Agli inizi del XVI secolo papa Giulio II faceva raddrizzare, nel
cuore di Trastevere, il percorso di un’antichissima strada che nel
Medioevo si chiamava Sancta, in quanto percorsa dai pellegrini
diretti a San Pietro: nasceva via della Lungara, che nel progetto
del Pontefice doveva collegare piazza San Pietro e il porto di Ripa
Grande.
Appena un secolo dopo, la strada aveva assunto un aspetto del tutto
peculiare, diventando una sorta di lungo conservatorio per i tanti
istituti in cui venivano relegate donne infelici e reiette:
condannate, pentite e penitenti, ma anche convertite, preservate,
pericolanti e malmaritate.
Uno degli edifici più tristemente famosi della via è il cosiddetto
Buon Pastore, innalzato nel 1615 da Domenico di Gesù Maria, padre
generale dei Carmelitani Scalzi, con il contributo del marchese
Baldassarre Paluzzi e del duca di Baviera, per accogliervi le donne
maltrattate dai mariti e le peccatrici che volevano fare penitenza,
senza l’obbligo di prendere i voti.
Alcuni anni dopo, nel 1619, al monastero fu annessa la chiesa che
ancora vediamo al n. 19 della via, conosciuta come Santa Croce alle
Scalette, a causa delle due brevi rampe che ne precedono l’entrata.
La piccola facciata è a due piani. In quello inferiore il piccolo
portale è fiancheggiato da due nicchie. In quello superiore si trova
una finestra quadrata. Il timpano è triangolare e include un
finestrone.
L’interno si presenta a navata unica. Il soffitto è diviso in
lunette, con nelle vele tondi con raffigurate le virtù teologali e
cardinali.
Nel 1838 la direzione dell’Istituto venne affidata alle Suore di
Nostra Signora della Carità del Buon Pastore d’Angers, una
congregazione fondata nel Seicento in Francia da un predicatore, San
Giovanni Eudes, e rifiorita dopo la rivoluzione grazie a S. Maria
Eufrasia Pellettier. A questo periodo deve appartenere la statua del
Buon Pastore che ancora si vede sulla porta del convento, alla
destra della chiesa.
Nel 1854 Pio IX fece ampliare il monastero con una nuova ala
affacciata su via della Penitenza, affidando la direzione dei lavori
all’architetto Virginio Vespignani. Nell’istituto, però, non erano
più ospitate solo le penitenti, ma anche le condannate e le
cosiddette “preservate”, tenute rigorosamente separate. In pratica
al Buon Pastore si scontavano ergastoli e lavori forzati, ma vi
erano recluse anche patriote e pensatrici le cui idee erano in
contrasto con i dettami della religione cattolica. In quello che fu
il primo carcere femminile dello Stato della Chiesa le detenute
dovevano essere recuperate alla società attraverso la penitenza e il
lavoro obbligatorio, che consisteva essenzialmente nel ricamo e nel
cucito.
Le “preservate”, invece, erano bambine tra i 5 e 1 10 anni, ritenute
bisognose di protezione ed educazione.
Dopo il 1870, con il Regno d’Italia, le suore continuarono a gestire
il carcere, le cui celle si riempirono di prostitute clandestine.
Dal 1895 il carcere fu trasferito nella vicina Regina Coeli e il
Buon Pastore, diventato un riformatorio femminile, fu affidato ad
alcune opere pie.
Intorno al 1970 il complesso è diventato un pensionato per ragazze
che avevano tenuto comportamenti irregolari, godendo di una forma di
autosufficienza economica, dal momento che sia le giovani che le
suore continuavano nei lavori di maglieria e cucito, oltre a lavare
la biancheria per le caserme.
Nel 1983 i gruppi femministi di via del Governo Vecchio ottennero
dal comune di Roma l’assegnazione dell’immobile come luogo della
cittadinanza femminile. Seguirono anni di polemiche e contenziosi,
fino al 14 dicembre 2001, quando le chiavi del complesso del Buon
Pastore furono consegnate al consorzio Casa Internazionale delle
Donne.
di
Cinzia Dal
Maso
15 febbraio 2016
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