SIAMO TUTTI SOTTO "ASSEDIO"
L'antologia in versi del giornalista
Mario Montanari
Comunicare ciò che è incomunicabile, e per
farlo chiudersi in un Assedio. L’antologia di versi del giornalista
e poeta Mario Montanari parla proprio di questo, della difficoltà
quanto mai dolorosamente attuale di raggiungere una pienezza
comunicativa soddisfacente e degna di questo nome. Comunicare è la
meta, ritrarsi è il metodo, l’assedio è la sensazione prevalente,
realisticamente - guai a dire pessimisticamente- inevitabile. Lui
che per il suo lavoro ha viaggiato moltissimo e visto tanto,
sostiene che la sua città, Roma, è la più bella di tutte, ma anche
qui il dolore succede alla spensieratezza. Partiamo allora dal
tessuto urbano per scoprire i percorsi più impervi della poesia di
Montanari.
Che rapporto ha con Roma, lei che è romano
da diverse generazioni?
Roma è senza dubbio la città più bella del
mondo ma non posso che soffrire per le condizioni in cui versa. La
sporcizia ci sovrasta e quel che è peggio, sembra essere sparito un
senso di coscienza personale…
C’è un luogo particolarmente caro, un “ermo
colle” romano per così dire?
Villa Borghese. Soddisfa appieno la necessità
di stare per conto mio. Ma c’è da dire che anche lì i miei
concittadini hanno fatto danni…
E’ ipotizzabile una soluzione a questo
degrado? Una speranza di miglioramento?
Temo di dover rispondere negativamente. Come
diceva De André le “anime salve” possono farcela, perché sono pure,
incontaminate; invece vivendo in questa “rissa” che è il nostro
quotidiano, come possiamo pensare di venirne fuori? Vivere oggi per
me è sopravvivere alle diverse e spesso gratuite etichette che ci
vengono date, mentre noi smarriamo i nostri più intimi ed essenziali
caratteri.
A questo si riferisce il componimento dal
titolo “Rivendicazione”?
Sì, vorrei rivendicare il mio senso di
debolezza, di non farcela sempre e per forza, di valere anche per la
mia tristezza. Ecco vorrei proprio che della tristezza si parlasse
di più e che in un certo senso divenisse un valore positivo. Come il
vivere slow, cioè lentamente, l’unico modo a mio avviso per
recuperare una dimensione veramente umana.
Quella odierna che dimensione è?
Non può che essere straniante una dimensione in
cui ci ritroviamo a chattare con persone distanti o sconosciute, a
volte divengono relazioni che escludono completamente la
“carnalità”, elemento per me fondamentale di conoscenza. Di fatto
ormai la tecnologia è il veicolo della conoscenza.
La cosa in assoluto più sconcertante per me è vedere
coppie sedute ai tavolini dei bar che anziché parlare tra loro
guardano ciascuno il proprio telefonino. Tremendo.
La poesia che ruolo ha in un mondo ormai
fatto di brevi twitt e post?
Sono pasoliniano in questo, trovo che la poesia
sia una “prosa in poesia”, e che quindi contenga un messaggio che
non deve rimanere troppo ermetico. Vorrei parlare a tanta gente,
essere compreso fino in fondo e recuperare momenti fatti solo per la
riflessione e perché no, la preghiera. E’ da poco passato Natale ed
io avrei voluto trascorrerlo in solitudine davanti ad un caminetto
acceso per cercare di riafferrarne il senso profondo.
Ci deve essere tuttavia un antidoto a questo
malessere esistenziale, una via di fuga…
Montale diceva che non è possibile dare una
risposta soddisfacente se non quella su “ciò che non siamo, ciò che
non vogliamo”. Per il resto forse l’unica ancora di salvezza è la
curiosità che mi porta a non arrendermi alla superficialità delle
informazioni del sapere virtuale.
L’antologia di versi “l’Assedio” sarà
presentata a Roma domenica 7 febbraio alle ore 12 presso l’Enoteca
Letteraria di via delle Quattro Fontane 130.
di
Irene
Mandolesi
25 gennaio 2016
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