Viveva in una gabbia stretta
e umida
La lupa del Campidoglio
Il 28 agosto 1872 il Consiglio Comunale di Roma, presieduto dal
Sindaco Pietro Venturi, deliberò di collocare sul Campidoglio “in un
apposito casotto una lupa vivente come emblema di Roma”, stabilendo
persino le spese per il suo mantenimento, 23.50 lire al mese. Fu
assunto anche un custode che aveva dimora poco distante. I resti
della “casa del Luparo” si vedono ancora all’altezza di via Monte
Caprino.
La faccenda aveva però un precedente. Già all’inizio del
Quattrocento, infatti, sul Campidoglio era tenuto un esemplare di
leone, al tempo il simbolo della città. La cosa durò poco, fino a
una domenica mattina del 1414, quando la belva riuscì a trovare la
libertà, uccidendo o mutilando diversi bambini.
Tornando alla lupa, il povero animale diventò subito un’attrattiva,
soprattutto per i più piccoli, che si fermavano a osservarlo
camminare avanti e indietro nello spazio angusto, umido e buio. Il
suo comportamento è all’origine del modo di dire “me pari la lupa
der Campidojo”, con cui a Roma si apostrofa una persona inquieta,
che non riesce a stare ferma.
Nel 1935, come testimonia una copertina illustrata della Domenica
del Corriere, la lupa venne temporaneamente spostata dalla vecchia
gabbia lungo la scalinata del Campidoglio a una nuova, ai piedi
della Rupe Tarpea.
Era stata pure attrezzata una gabbia per l’altro simbolo di Roma,
l’aquila, ricordata con la consueta arguzia in una poesia di
Trilussa: “L'antra matina l'Aquila romana, / che ce ricorda, chiusa
ne la gabbia, / le vittorie d'un'epoca lontana, / disse a la Lupa: —
Scusa, / ma a te nun te fa rabbia / de sta' sempre rinchiusa? / Io,
francamente, nu' ne posso più! / Quanno volavo io! Vedevo er monno!
/ M'avvicinavo ar sole! Invece, adesso, / così incastrata come
m'hanno messo, / che voi che veda? l'ossa de tu' nonno? / Quanno
provo a volà trovo un intoppo, / più su d'un metro nun arivo mai...
— / La Lupa disse: — È un volo basso assai, / ma pe' l'idee moderne
è puro troppo! / È mejo che t'accucci e stai tranquilla...” Ma dopo
questa risposta piena di saggezza, anche la lupa non poteva fare a
meno di deplorare il suo stato miserevole: “Noj antri? Semo bestie
da cortile. / Pur'io, va' là, ciò fatto un ber guadagno / a fa' da
balia a Romolo! Accicoria! / Se avessi da rifà la stessa storia /
invece d'allattallo me lo magno!”.
Con il passare del tempo, i cittadini prendevano sempre più
coscienza delle condizioni pietose in cui vivevano questi animali.
Così, quando la sera del 28 giugno 1954 una lupa di appena tre anni
cessò di vivere dopo una breve agonia e nonostante le cure prestate
dal veterinario del Giardino Zoologico, il dottor Bartolino, scoppiò
un vespaio di polemiche. Paladino dell’abolizione della lupa sul
Campidoglio era un cittadino inglese da tempo residente a Roma,
Marian Johnson, che - come si leggeva in un articolo del Messaggero
– aveva scritto al Times affinché intercedesse presso
l’amministrazione capitolina per convincerla a non sostituire la
lupa morta con un nuovo esemplare. Dalla parte di Johnson si
schieravano non solo semplici cittadini, ma anche istituzioni come
il Giardino zoologico di Roma e l’Ente nazionale Protezione animali.
Il sindaco Salvatore Rebecchini, era però di tutt’altro avviso,
considerando la lupa e l’aquila simboli millenari di Roma e
meravigliandosi che nessuno protestava per i tanti zoo e per
l’infinito numero di uccellini in gabbia. Così il 15 novembre
successivo fu a un giovane lupo maschio a essere collocato sul
Campidoglio. Solo la gabbia fu un po’ allargata e resa più
confortevole. La barbara usanza sarebbe terminata qualche anno più
tardi. Resta la gabbia, vuota e ombreggiata da un gigantesco ombù
che portò dall’Argentina, nel 1911, il principe Baldassarre
Odescalchi.
di
Cinzia Dal Maso
15 gennaio 2015
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