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A palazzo Braschi stampe e dipinti del Settecento e dell’Ottocento

Roma secondo i vedutisti tedeschi

 

Fino al prossimo 28 settembre, le sale di Palazzo Braschi ospiteranno la mostra “Vedutisti tedeschi a Roma tra il XVIII e il XIX secolo”, promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con la curatela di Simonetta Tozzi. Organizzazione e servizi museali sono di Zètema Progetto Cultura.

Tra il Settecento e l’Ottocento il popolo tedesco ha nutrito per Roma una incredibile passione ed è rimasto sedotto dal fascino delle antichità romane, dalla luminosità mediterranea della città e della campagna circostante, dalla sua gente e dagli antichi borghi. Inoltre, il viaggio di istruzione e di piacere in Italia era divenuto una tappa irrinunciabile nella formazione intellettuale dei giovani europei di buona famiglia e, di conseguenza, le riproduzioni dei paesaggi italiani erano richieste per arricchire i volumi destinati ai turisti o venivano vendute in esemplari sciolti.

In esposizione circa 80 esemplari, provenienti dalla ricca raccolta di opere grafiche del Museo di Roma: vedute del Foro Romano e del Colosseo, di Villa Borghese, di Castel Sant’Angelo e di Ponte Milvio, della campagna fuori città, tra Nemi, Tivoli e il lago di Albano.

Le opere esposte sono state in gran parte eseguite da pittori che gravitavano nella cerchia di Angelika Kauffmann, artista tedesca che aveva fatto della sua dimora in via Sistina un vero e proprio cenacolo all’avanguardia per intellettuali e personaggi stranieri di passaggio in città. La personalità più carismatica del gruppo era senza dubbio quella di Jacob Philipp Hackert, quotato pittore di paesaggi che ricevette committenze da Caterina di Russia e da Ferdinando IV e fu amico e maestro di disegno dello stesso Goethe. Insieme alle acqueforti di Hackert saranno presentate opere di Friedrich Wilhelm Gmelin, di Johann Christian Reinhart, di Jakob Wilhelm Mechau e di Joseph Anton Koch, che fece parte della cerchia dei Nazareni.

“Questi artisti che oggi farebbero reportages fotografici – spiega Simonetta Tozzi -  allora utilizzavano svelti carnets, leggeri quadernetti facili da portare, se ne andavano in giro sempre pronti a cogliere d’après nature paesaggi, macchiette, figure, al contrario degli accademici che lavoravano al chiuso, al massimo copiando gessi o modelli e, tornando in studio, ripassavano a penna o acquerello gli appunti.  Dotati di seggiolini pieghevoli, cappello a tesa larga per ripararsi dal sole, scatola dei colori sulle ginocchia a sostenere il foglio o la tela, ecco la tipologia del pittore che, abbandonato lo studio, va in cerca di emozioni nuove e crea un nuovo genere”.

 

di Annalisa Venditti
20 Marzo 2014

© Riproduzione Riservata

 


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