I tondi sulla facciata del Ministero di
Giustizia
La Legge ha il volto di una sartina
Il palazzo Piacentini, sede del Ministero della Giustizia a
via Arenula, vicino a ponte Garibaldi, è un sobrio ma imponente edificio
ispirato all’architettura tardo cinquecentesca. Fu progettato nel 1913 da Pio
Piacentini e per la sua costruzione vennero rase al suolo alcune case
rinascimentali sulla sinistra di via della Seggiola. Si salvò, per fortuna, la
casa medioevale di San Paolino alla Regola. La prima pietra fu posata nel 1914,
ma lo scoppio della grande guerra causò l’interruzione dei lavori, portati a
compimento soltanto nel 1924. La parte inferiore del prospetto è a bugne di
travertino a punta di diamante. I due corpi laterali sono conclusi da eleganti
loggiati. Sugli spigoli si può vedere ancora lo stemma dei Savoia. L’atrio è
grandioso e il cortile è vasto e ben proporzionato. Nel 1932 fu realizzato
l’ampliamento posteriore. Originariamente si chiamava Ministero di Giustizia e
Culti, quindi, fino al 1999, Ministero di Grazia e Giustizia. Vi si accede da un
grande portale a tre arcate, sopra al quale sono quattro tondi da cui sporgono i
busti di altrettante figure allegoriche scolpiti ad altorilievo. Partendo da
sinistra si riconoscono la Legge, la Giustizia Penale, la Giustizia Civile e il
Diritto. Furono eseguiti nel 1919 da una scultrice romana, Fausta Vittoria
Mengarini, figlia del professor Guglielmo, senatore del regno d’Italia, autore
di importanti esperimenti e del primo impianto al mondo di trasmissione di
energia elettrica a corrente alternata monofase su potenza e distanza
significative, dalla centrale di Acquoria di Tivoli a Roma.
La Mengarini era cresciuta in un ambiente familiare colto e ricco di stimoli. La
madre, Margarethe Traube (1856-1912), di origini ebraiche, era nata a Berlino da
un illustre fisiologo e patologo e fu tra le prime donne laureate in scienze
naturali in Italia. Da femminista convinta, partecipò alle prime battaglie per i
diritti sociali delle donne. Così il palazzo Mengarini sul Quirinale, in via
Ventiquattro Maggio, edificato da Gaetano Koch, fu un vero e proprio cenacolo
intellettuale di studiosi, pensatori, letterati e artisti. Ne furono ospiti
personaggi del calibro di Teodoro Mommsen, Emanuel Löwy, Pietro Blaserna, Adolf
e Ludwig Furtwängler. Le riunioni che si tenevano nel palazzo diventavano delle
accademie in cui poter discutere dei più alti problemi della scienza, dell’arte
o della filosofia, che spesso influenzarono la cultura italiana dell’epoca.
Tra le opere più note di Fausta Vittoria Mengarini sono il Monumento ai caduti
di Borgo (Borgo Santo Spirito) e il Faro di Massaua. Molto apprezzati i ritratti
in marmo o in bronzo, tra cui quelli del marchese Antonio Spinola, del deputato
Locatelli, dell’archeologo Giacomo Boni, di Armando Diaz e di Benito Mussolini.
Tornando ai tondi su palazzo Piacentini, il primo a sinistra, raffigurante la
Legge, costituisce una piccola curiosità. Se ne conosce infatti il nome della
modella, Vincenza Mari, nata nel 1902, che nel 2002 era ancora viva e ricordava
come una mattina del 1919, quando aveva appena 17 anni, mentre andava al lavoro
in una sartoria nei pressi di piazza di Spagna, fosse stata fermata da Fausta
Vittoria Mengarini, che le aveva chiesto di farle da modella. Vincenza aveva
accettato di buon grado e si era recata per un certo periodo, due pomeriggi a
settimana, nello studio dell’artista al Flaminio. Non aveva mai avuto il
coraggio di chiedere per che cosa stesse posando. Lo scoprì molto tempo più
tardi, nel 1927, quando trovò il suo bel viso raffigurato in un articolo della
Domenica del Corriere.
di
Cinzia Dal Maso
22 maggio 2014
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