Con la mostra "Spinario.
Storia e fortuna", curata da Claudio Parisi Presicce e con l’organizzazione di
Zetema Progetto Cultura, i Musei Capitolini fino al prossimo 25 maggio rendono
un tributo a uno dei massimi capolavori dell’arte antica, giunto in Campidoglio
nel 1471 con la donazione dei bronzi lateranensi al popolo romano da parte di
Sisto IV.
Fanno da cornice
al celebre bronzo altre 44 opere tra bronzetti, disegni e quadri, per offrire
una panoramica il più completa possibile del tema dello spinario e del suo
successo.
Il soggetto
acquistò grande notorietà fin dal primo Rinascimento e da allora è al centro di
interpretazioni che ne hanno messo in evidenza, di volta in volta, temi tra loro
contraddittori: da taluni è ritenuto un semplice pastorello, da altri è
collegato a un racconto di tipo eroico. Ampie le dispute sulla datazione della
scultura, da un’opera di stile severo o della scuola di Pasitele a un originale
del III o del I secolo a.C.
Lo Spinario dei
Musei Capitolini è oggi considerato quasi unanimemente un’opera eclettica che
unisce un corpo concepito su un prototipo ellenistico con una testa nella forma
di stile severo.
La scultura
raffigura un pastorello, all’incirca dodicenne, seduto su un sedile di roccia,
nell’intento di togliersi una spina dal piede sinistro, la cui pianta è poggiata
sul ginocchio destro. Il tema figurativo si è trasformato già in età antica in
una metafora del dolore procurato dall’innamoramento. Il soggetto è noto da
molteplici copie e varianti romane, ma lo Spinario Capitolino divenne
immediatamente celebre e apprezzato per la sua composizione versatile e la
grazia leggera dell’esecuzione, dando origine a un’innumerevole serie di
repliche, più o meno fedeli e nei più vari materiali, sia scolpite sia disegnate
e dipinte, presenti nel corso dei secoli in tutte le collezioni europee, nei
Gabinetti artistici privati e nei quaderni di schizzi degli artisti di varia
fama e grandezza.
E se nel Medioevo
il tipo statuario del giovanetto che si toglie la spina dal piede, per la sua
nudità, era considerato un immorale idolo pagano, nei secoli successivi questa
posa si diffuse ampiamente tra i maggiori artisti come modello iconografico.
Il restauro
effettuato nel 2000 ha confermato che la scultura è composta di parti diverse
saldate tra loro con la tecnica della fusione a cera persa indiretta.
Considerando poi
l’età proto-augustea come origine del bronzo capitolino, le possibilità
identificative si riducono notevolmente: in questo periodo il pastore di origini
greche per antonomasia era Ascanio/Iulo, capostipite della gens Iulia.
Secondo Paolo
Moreno la testa sarebbe state aggiunta in età tardo antica, "traendola da una
statua estranea, un Eros stante, originale in bronzo di stile severo. La prova
del "pastiche", continua Moreno nel secondo volume della sua "Arte ellenistica",
"è che nella statua dei Conservatori la capigliatura non cade secondo
l’inclinazione imposta dal torso e dal collo del personaggio assiso, bensì nello
schema della divinità eretta".
Incontri e
laboratori didattici con studenti e docenti dell’Accademia di Belle Arti di Roma
arricchiranno le opportunità di approfondimento offerte dalla mostra. Si potrà
assistere in diretta alla nascita di un’opera d’arte grazie agli appuntamenti di
disegno dal vivo, partecipare a laboratori creativi e analizzare i tanti aspetti
attraverso la presenza e la mediazione di giovani artisti ed esperti.
L’esposizione è
impreziosito da un ampio catalogo, dove poter proseguire, grazie a testi e
schede di elevato valore scientifico, lo studio di questo raffinato capolavoro.
di
Antonio Venditti
30 gennaio 2014
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