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L’opera di Tenerani che forse ispirò Leopardi

Il bassorilievo di Clelia Severini

 

 

 

Nell’atrio di San Lorenzo in Lucina, un bassorilievo attrae lo sguardo del visitatore: si tratta del monumento funebre di Clelia Severini, realizzato nel 1825 dallo scultore Pietro Tenerani (1789 – 1869), che allora aveva 33 anni. Era stato commissionato nel 1822 dall’avvocato romano Giuseppe Severini per la morta della figlia appena diciannovenne.

Sarebbe stata proprio questa patetica immagine di una giovane donna che sta abbandonando la vita a ispirare a Giacomo Leopardi la canzone “Sopra un basso rilievo antico sepolcrale dove una giovane morta è rappresentata in atto di partire accomiatandosi dai suoi”.

Il poeta era giunto a Roma il 5 ottobre del 1831 insieme all’amico Ranieri e poche settimane dopo era andato ad abitare al n. 81 di via dei Condotti. Aveva visitato lo studio di Tenerani, dove aveva potuto apprezzare il bassorilievo, come conferma una sua lettera del 19 ottobre 1831 a Carlotta Lenzoni:  “Ho veduto il bravo e amabile Tenerani... Non so se ella conosce un’altra Psiche ch’egli sta lavorando, che mi è parsa bellissima, come anche un bassorilievo per la sepoltura di una giovane pieno di dolore e di costanza sublime”.

Nella canzone Leopardi si rivolge direttamente alla giovane: “Dove vai? chi ti chiama / Lunge dai cari tuoi, / Bellissima donzella? / Sola, peregrinando, il patrio tetto / Sì per tempo abbandoni? a queste soglie / Tornerai tu? farai tu lieti un giorno
Questi ch'oggi ti son piangendo intorno?
” Domande delle quali conosce troppo bene la risposta. Infatti prosegue: “Morte ti chiama; al cominciar del giorno / L'ultimo istante. Al nido onde ti parti, / Non tornerai. L'aspetto / De' tuoi dolci parenti / Lasci per sempre”. Nel bassorilievo la disperazione traspare dai gesti, pur misurati, dei genitori. La madre, con la tunica che lascia intravedere una spalla, con le mani giunte, volge gli occhi al cielo come in una muta preghiera. Il padre abbandona il capo sul petto e non ha nemmeno la forza di guardare la figlia. Veramente sembra non esista al mondo nulla che possa attenuare quel dolore.

Persino il cagnolino, alzandosi sulle zampe posteriori, pare voler implorare Clelia di restare. La giovane non piange. In piedi, al centro della composizione, sta per sfilare la mano sinistra dalla destra paterna, suggellando l’addio. Le vesti sono composte, i capelli raccolti e coperti dal velo, a differenza di quelli della madre, sciolti e scarmigliati. “Asciutto il ciglio ed animosa in atto / Ma pur mesta sei tu”, dice il poeta. Significativo è anche il gesto che fa Clelia nel raccogliere con la destra un lembo del velo come per avvolgersi nelle tenebre.

 

di Cinzia Dal Maso
30 gennaio 2014

© Riproduzione Riservata

 


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