Li
confezionava a maglia la moglie di un baritono
Fiori pericolosi a via della Chiesa
Nuova
Nel rione Parione, al civico 18 di via della Chiesa Nuova,
si apre un bel portone ad arco, circondato da un elegante bugnato in travertino.
Qui, nella prima metà dell’Ottocento, abitava un baritono, la cui moglie amava
confezionare a maglia con la lana dei fiori bianchi, rossi e verdi. Nello stesso
palazzo dimorava anche la zia di una ragazza di Palombara, una certa Cecilia
Massimi, che durante un soggiorno presso la zia conobbe la moglie del baritono,
dalla quale imparò a fare quei fiori, i cui colori al tempo erano molto sospetti
per le autorità pontificie. Nel 1840, tornata nella cittadina laziale, Cecilia
riprese a lavorare a maglia e regalò quei fiori a varie persone, al fratello
Francesco e a un calzolaio suo amico, Giuseppe Marchionni, che se ne appuntò uno
sul cappello, andandosene tranquillamente in giro per le vie di Palombara. Non
lo avesse mai fatto: Cecilia subì vari interrogatori, ma si salvò dal carcere,
forse perché il padre, Giò Batta, era noto per la sua fedeltà al Pontefice. Le
cose andarono diversamente per il povero Giuseppe Marchionni, con qualche
precedente penale, che, sospettato di essere repubblicano, fu arrestato. La cosa
non finì qui, perché la polizia continuò a indagare, alla ricerca di quelli che
potevano aver comprato o ricevuto in dono da Cecilia Massimi altri di quei
fiori. Furono effettuate perquisizioni – senza alcun risultato - nelle case di
alcuni sospetti, che evidentemente, se pure li avevano posseduti, se ne erano
disfatti in fretta e furia.
Per Palombara fu un piccolo scandalo di cui si discusse per
un bel pezzo. Franco Rizzi, nel suo volume “La coccarda e le campane”, riporta
un brano della lettera che il padre di Cecilia aveva inviato al cardinale
Gamberini, segretario di Stato: “Mentre questo zelantissimo governatore col dar
peso alle ombre ha posto in malizia gli abitanti di Palombara sopra una
combinazione del tutto innocente, questo stesso magistrato trascura d’altronde
cose ben più rilevanti lasciando inosservati dei canti patriottici, che
continuamente si fanno dai forastieri”.
Non sappiamo se Cecilia conoscesse il significato di
quell’accostamento di colori, ma in seguito furono molti a sfidare i rigori
della legge per sfoggiarli.
Un esempio per tutti: da una relazione del tribunale
supremo della Sacra Consulta veniamo a sapere che nel mese di agosto del 1849,
subito dopo la caduta della Repubblica romana, qualcuno aveva tolto dal cappello
di una figlia di Francesco Narducci un nastro tricolore, a breve distanza dal
negozio di un certo Antonio Alegiani, che si trovava in piazza di Sciarra.
di
Cinzia Dal Maso
03 gennaio 2014
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