Gli
spergiuri sarebbero morti prima di arrivare alla sua tomba
A San Pancrazio non piacevano le bugie
Sul Gianicolo, lungo il tracciato
della via Vitellia, biforcazione dell’Aurelia Antica, un portale
barocco fa da ingresso alla basilica di San Pancrazio, che conserva
solo un pallido ricordo dell’originario splendore. Tra la navata
centrale e quella destra, presso la botola che dà accesso alla
sottostante catacomba, un’iscrizione del XIV secolo o dell’inizio
del XV recita: “Hic fuit decollatus S. Pancratius martyr”. Questo di
certo non è il luogo del martirio del Santo, eppure questa epigrafe
deve indicare una zona importante della chiesa. Si potrebbe trattare
del ricordo del punto in cui si trovava la tomba di Pancrazio prima
di essere trasportata da papa Onorio I (625 – 638) nella confessione
del presbiterio attuale. Dovrebbe allora essere questo il limite che
– almeno nel medioevo – nessun mentitore avrebbe avuto il coraggio
di superare. Infatti il Santo era considerato il vendicatore degli
spergiuri (valde in periuris ultor). Chiunque non aveva tenuto fede
a un giuramento, se si fosse avvicinato al suo sepolcro, era
destinato a cadere morto stecchito sul pavimento della chiesa.
Persino i re Franchi, per rafforzare i loro trattati di alleanza,
non trascuravano di invocare San Pancrazio. E sul vecchio pavimento
della basilica c’era l’epigrafe in distici latini ormai dispersa di
Crescenzio Nomentano, vittima dello spergiuro di Ottone III.
Fortunatamente fu copiata dal Baronio, perché è uno dei più profondi
epitaffi che ci siano stati tramandati. Come dice il Gregorovius,
“in esso alita lo spirito melanconico delle età passate, quello
spirito che si diffonde dal mondo delle rovine di Roma”.