A
pochi metri della stazione Termini, la chiesa di Santa Bibiana è
oggi quasi ridotta a uno spartitraffico, cui gli automobilisti
frettolosi non lanciano nemmeno un fugace sguardo. Eppure si tratta
di un edificio ricco di testimonianze artistiche e di antichissime
origini. Vi si venera una santa della cui vita si hanno solo notizie
leggendarie: sarebbe stata una fanciulla di nobili origini nata a
Roma nel 347 dal prefetto Flaviano e da una certa Dafrosa, di
famiglia consolare, entrambi cristiani.
Nel 360
divenne imperatore Giuliano l’Apostata, che avrebbe ripreso le
persecuzioni contro i cristiani. Flaviano, lasciata la carica di
prefetto, venne sorpreso mentre seppelliva i martiri Prisco,
Priscilliano e Benedetto, bollato sul volto con il marchio degli
schiavi, quindi esiliato ad Aquas Taurinas, forse l’attuale
Montefiascone, dove subì il martirio nel dicembre del 361.
Bibiana
e sua sorella Demetria, che si erano chiuse in preghiera nella loro
casa insieme alla madre Dafrosa, furono condannate a morire d’inedia
in carcere. Ma poiché rimanevano miracolosamente vive, Dafrosa fu
decapitata il 6 gennaio del 362. Demetria, chiusa di nuovo in
carcere, subì atroci minacce e, professata la sua fede, morì di
crepacuore.
Bibiana
aveva appena quindici anni. Le fu messa accanto Rufina, una mezzana
che l’avrebbe dovuta iniziare agli intrighi amorosi. La fanciulla
rifiutò con fermezza ogni lusinga e fu perciò legata a una colonna e
flagellata a morte con fasci di verghe a cui erano stati applicati
dei pallini di piombo.
Il
corpo di Bibiana sarebbe stato lasciato insepolto, ma nemmeno i cani
randagi ardirono toccarlo. Lo raccolse infine il presbitero
Giovanni.
La
chiesa – eretta sulla casa della santa - secondo il Liber
Pontificalis venne fondata da papa Simplicio nel 467, nei pressi del
cimitero di Anastasio I, detto "ad ursum pileatum" forse
dall’insegna di una bottega raffigurante un orso con in capo un
cimiero.
L’aspetto attuale dell’edificio si deve ai restauri avvenuti sotto
Urbano VIII, in occasione del Giubileo del 1625. Il pontefice
intendeva "nobilitare questa chiesa con una graziosa facciata e con
un portico ornamento di tutte le chiese antiche, e de’ tempij de’
Romani gentili ma molto convenevole à quella di Santa Bibiana, per
essere fuori del commerzio, e senza alcuna habitazione".
Il
rifacimento della facciata fu affidato al giovane Gian Lorenzo
Bernini, che realizzò qui il suo primo intervento architettonico. Il
plastico prospetto ha un portico a tre archi, scanditi da pilastri
ionici con basi e capitelli in travertino. L’ordine superiore è
ripartito da semplici pilastri, con un corpo centrale, più alto e
leggermente aggettante, coronato da un frontone, che somiglia a un
enorme reliquiario. Sembrerebbero del tutto scomparse le tracce di
antichissimi affreschi relativi alla primitiva basilica che l’Armellini
aveva visto sulla facciata.
L’interno è diviso in tre navate da colonne provenienti da antichi
monumenti, di diversi tipi di marmo e con capitelli corinzi,
compositi e lotiformi. Il Bernini aprì due piccole cappelle sul
fondo delle navate laterali e sostituì l’abside con una cappella di
maggiori dimensioni.
Nella
parte inferiore dell’altare è un’urna di alabastro con i corpi delle
sante Bibiana, Drafosa e Demetria; al di sopra, in una nicchia, è la
splendida statua in marmo bianco di S. Bibiana, opera del Bernini,
per la quale l’artista ricevette 660 scudi romani. La santa è
raffigurata in piedi, con in mano la palma del martirio, in una posa
molto vicina a quella delle statue classiche. Lo sguardo sereno
volge al cielo. Il corpo snello poggia alla colonna cui fu legata
durante il suo martirio e che ancora si venera all’interno della
chiesa. Ai suoi piedi è un fascio di quelle erbe che i fedeli
andavano a cogliere sul terreno bagnato dal sangue della martire e a
cui attribuivano poteri taumaturgici. Il Bernini affidò alla luce
proveniente dalla volta il compito di enfatizzare la drammaticità
dell’insieme.
Gli
affreschi della navata centrale sono ispirati alla vita della santa.
Quelli sulla destra sono stati eseguiti dal fiorentino Agostino
Ciampelli (1577-1642) e della sua bottega. Vi si riconoscono "S.
Bibiana abbandonata alle fiere", "Il seppellimento della santa" e
"l’Erezione della chiesa", oltre alle figure di Olimpia e Drafosa in
scomparti con le api Barberini.
I
dipinti a sinistra, di Pietro da Cortona (1596-1669), raffigurano
"La condanna a morte di S. Bibiana", "l’Attentato della matrona
Rufina alla fede della Santa"; la Flagellazione di S. Bibiana, oltre
alle figure dei Santi Flaviano e Demetria.