Tra il
1943 e il 1944, l’allora tenente dei Granatieri Lazzaro visse in
prima persona, come ufficiale, l’atroce esperienza della
deportazione.
Milanese d’adozione, era nato a Roma da una famiglia di artisti. Per
tutta la vita si dedicò all’insegnamento e alla sua carriera
d’artista. Celeberrime, dagli anni Sessanta in poi, sono le sue
"Marine".
"Sofferenza" è il titolo del disegno scelto per questo particolare
evento.
L’opera
mette in rilievo l’indiscutibile capacità artistica del Maestro
anche in condizioni estreme e diviene testimonianza indelebile di
quel periodo storico.
I
disegni, sopravvissuti al lager, vennero ritrovati qualche anno fa
in un cassetto dello studio del pittore, morto alla fine degli anni
ottanta per i postumi di un incidente stradale.
L’annullo è disponibile dal 28 gennaio presso lo Spazio Filatelia di
Poste Italiane di via Cordusio a Milano ed è applicato su una
particolare cartolina.
La
stessa cartolina con l’annullo si trova anche presso l’Archivio
Lazzaro in via Cenisio 50, sempre a Milano.
Lo
Spazio Filatelia, in concomitanza, ospita fino al 9 febbraio la
mostra documentaria "Biala Podlaska n. 55930", composta da lettere
di corrispondenza tra "l’internato" e la famiglia e disegni che
Lazzaro ha eseguito nei lager di Biala e di Norimberga Langwasser.
Per sopportare il peso di una disperazione troppo grande il giovane
pittore, identificato dal n. 55930, lasciava impressa sulla povera
carta che aveva a disposizione l’immane tragedia di un’intera
generazione. A Nürnberg Langwasser in cambio di un po’ d’acqua
bollente, un cucchiaio di grasso e una patata Lazzaro offriva i suoi
ritratti ai soldati tedeschi, firmandoli con uno pseudonimo perché –
come spiegò – non voleva che "un domani, quando sarò famoso, questi
possano acquistare valore commerciale. Non esiterebbero a disfarsene
per denaro, mentre io li ho fatti per fame". Il campo desolato di
quel concentramento disumano, reso ancor più surreale
dall’insopportabile freddo invernale, è lo scenario in cui vanno
inseriti i volti dei prigionieri con cui Lazzaro condivise
quell’insaziabile solitudine. I pali di legno conficcati nel
terreno, le reti metalliche, il filo spinato e i fossati erano tutto
quello che si poteva vedere dalle squallide baracche di Biala dove
si consumava il dolore della fame. "Non potevo più resistere alla
fame che era diventata un tormento che non si può descrivere e non
si può capire se non la si prova", ricorda ancora uno dei
sopravvissuti. Così hanno la corona di spine sul capo i militari che
Lazzaro consegna alla memoria dei posteri: occhi sgranati,
atterriti, malinconici, ripiegati a contemplare un presente che
annebbia la possibilità di una futura identità. Come in una funesta
scena di Giudizio universale, attaccati alla rete, uomini fatti
larve si accalcano a braccia aperte, lamentando un pasto che tarda a
venire.
Le
immagini e le lettere non necessitano di commento alcuno. Comunicano
da sole, nella loro intensa drammaticità, per giungere
immediatamente alla ragione e al cuore del visitatore e divengono
monito per l’umanità.