E’
una stanza accogliente dove una guida rossa conduce a una seduta
segnata da simboli antichi, collegati a concetti ancestrali,
l’istallazione che gli artisti Milena Barberis e Kikoko hanno
inaugurato al Museo Pigorini, nell’ambito della rassegna
"(S)oggetti migranti: dietro le cose le
persone".
Le
pareti di questa stanza dell’inconscio collettivo sono circondate da
ritratti digitali della Barberis: tanti volti della stessa donna,
colti in attimi caratterizzati da una infinitesimale differenza.
Nulla è uguale a se stesso, tutto è un divenire di minimali ma
epocali cambiamenti, sembra suggerirci il lavoro.
Il
concetto di una identità oscillante si intreccia e lega al potere
discriminatorio che può avere l’occhio umano nella sua istintiva
osservazione. La pittura digitale si fa espressione enigmatica,
forte, calamitante.
E’ una
mistica dimensione quella ricreata, nonostante il ripetersi quasi
ossessivo degli sguardi. Sono occhi presenti quelli della donna, ma
non invadenti. Piuttosto si materializzano come una finestra sul
mondo, un aprirsi continuo, non interrotto, sulla vita. La seduta è
un punto di arrivo e di giacenza, un monolite compatto, solido,
un’archeologica presenza che rimanda a dimensioni lontane nel tempo,
passate ma sopravissute, a una stratigrafia di emozioni, di riposi.
Sembra che attenda un guerriero o il suo fantasma quella seduta. Il
suo essere svuotata da un peso corporeo la trasforma in una
possibilità di accoglienza, in un luogo in cui collocare la
dimensione dell’incontro e dello scambio.
L’invito introdotto nella dimensione di chi guarda è andare,
fermarsi, restare. Oppure guardare, rimanendo a qualche passo di
distanza da quella attesa, che forse è la giacenza di qualcosa che è
avvenuto, oppure la possibile epifania di un dio mortale o
immortale.
Al
suolo il gioco evocato dal frammento e dai volti si ripete in un
breve viale piastrellato. E’ l’inizio di una strada, forse da
percorrere, o da immaginare infinita. Un breve viale che prelude a
un viaggio, seguito ancora una volta dallo sguardo, da quell’occhio
di donna che è la garanzia di una guida, la certezza di un punto di
osservazione, mutevole sì, ma costante. Nella micro dimensione
creata lo spazio concluso evoca un’apertura insperata. Nella stanza
della Barberis e di Kikoko c’è tutto quello che manca, perché ciò
che non si vede può essere immaginato, materializzato, vissuto.
Fino al
24 gennaio al Museo Nazionale Preistorico Etnografico "Luigi
Pigorini" (Piazza Guglielmo Marconi, 14.