Il
palcoscenico raggiungeva la lunghezza di 17 metri, con una bocca
d’opera di circa 13 metri decorata nella parte superiore con nuvole
e altri elementi in cartapesta.
I
pilastri erano decorati da cariatidi. Gli ingressi erano quattro, ma
mancava un prospetto vero e proprio.
Il 10
febbraio del 1820 il teatro fu acquistato da Giovanni Torlonia. Alla
sua morte, nel 1829, passò al figlio Alessandro, che ne affidò il
completo rimodernamento a Giuseppe Valadier. L’architetto realizzò
finalmente una facciata degna di questo nome, dalla parte di ponte
Sant’Angelo, con tre grandi porte fiancheggiate da colonne e
pilastri, sormontate da due statue e dallo stemma Torlonia. Il
vestibolo dava accesso a una sala con la scala mobile che conduceva
al salone dei trattenimenti, con otto statue in stucco, alcune delle
quali copiate da esemplari antichi.
Nella
platea vennero sistemati banchi e sedie, mentre il palco del
Principe comunicava con un appartamento privato. Sopra il
boccascena, il Tempo indicava un quadrante di orologio in cui le ore
avanzavano lentamente. L’ambiente era illuminato da cornucopie poste
nel giro dei palchi. La nuova apertura si ebbe il 15 gennaio 1831
con "Il Corsaro" del Pancini, a cui assistette Mendelssohn, allora
giovanissimo.
Nel
carnevale del 1832 fu inaugurato un nuovo lampadario, ancora più
ricco e grandioso del precedente. In seguito il Principe fece
annettere altre sale, decorate da pittori come Luigi Fioroni,
Francesco Coghetti e Francesco Podesti.
Fu però
nel giugno del 1839 che per il teatro Apollo iniziò una nuova vita,
grazie alla nuova e illuminata direzione di un giovane commerciante
romano, Vincenzo Jacovacci. Il teatro sarebbe rimasto nelle sue mani
fino al 1881 e avrebbe, grazie alla sua intraprendenza, fatto
conoscere ai romani le opere più celebri, i migliori cantanti, le
ballerine più ricercate. Basti ricordare che qui si tennero le prime
del Trovatore e del Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi. Ma
all’Apollo si svolse anche una delle manifestazioni più toccanti del
nostro Risorgimento.
Il 5
gennaio del 1849 vi si tenne un’accademia musicale e letteraria per
festeggiare la bandiera donata da Venezia a Roma e per raccogliere
fondi da donare alla città della Laguna, ultima roccaforte
dell’indipendenza italiana, provata dall’assedio austriaco, stremata
dalle privazioni e dalla fame. Protagonista della manifestazione fu
Goffredo Mameli, che si trovava a Roma dai primi di dicembre del
1848. Il teatro era tutto illuminato e addobbato sfarzosamente. Sul
palcoscenico era sistemata, dietro espressa richiesta di Mameli, una
statua personificante Venezia. Tra la commozione generale il poeta
declamò la sua ode "Milano e Venezia". Possiamo immaginare con quale
forza Mameli riuscisse a toccare gli animi dei presenti, mentre
recitava le sue strofe immortali: "... Date a Venezia un obolo! /
Non ha la gran Mendica / Che fiotti, ardire ed alighe / Perch’è del
mar l’amica. / Sola tra tante infamie / Ella è la nostra gloria. /
Un’altra turpe istoria, / Se questa illustre Povera / Viene a morir
di stento, / Udrebbe il mondo intento: / Pane chiedea Venezia / E
niuno un pan le diè...".
Il
teatro fu rimodernato nel 1862. Soffitto e sipario vennero dipinti
da un giovane artista romano, Cesare Fracassini. Sulla volta erano
raffigurati, in ventiquattro spicchi partenti dal centro, i segni
dello zodiaco e i mesi dell’anno. Sul sipario Apollo, circondato
dalle Muse, consegnava a Fetonte il carro del Sole. Lo splendore
delle decorazioni era esaltato dall’illuminazione, completamente a
gas.
Il 30
ottobre del 1869 Alessandro Torlonia cedeva in enfiteusi perpetua al
Comune di Roma il teatro, a cui fu aggiunto, nel dicembre del 1870,
anche il palco reale. Ma l’Apollo aveva ormai i giorni contati, a
causa della vicinanza al fiume. Non bisogna dimenticare che, durante
le inondazione, vi si entrava solo grazie a un ponte mobile. La
costruzione dei muraglioni ne decretò l’inevitabile distruzione,
iniziata nell’estate del 1889 e terminata nel settembre di quello
stesso anno.