Al
Teatro Sette di Roma è andato in scena nei giorni scorsi "The 39 steps",
spettacolo tratto dal romanzo dello scrittore scozzese John Buchan, con Giovanna
Antonelli, Valerio Colangelo, Francesco Immè, Christian Trapani e la regia a
cura di Luca D’Arienzo.
Ritmo serrato e una
verve comica pura caratterizzano questo lavoro che ci auguriamo sia presto
ripreso. Non fosse altro per la grande lezione che racchiude: il Teatro come
naturale "amplificatore" della fantasia.
Per tutta la durata
della messinscena, davanti agli spettatori, ci sono soltanto quattro attori.
Eppure la platea vede raddoppiarli se non triplicarli nei ruoli, spesso anche
contemporaneamente. Il meccanismo funziona alla perfezione. Merito della regia,
sicuramente, ma soprattutto dell’adrenalina sprigionata dagli interpreti
coinvolti.
Siamo sempre sullo
stesso palco, ma gli attori ci portano in un altro teatro, dove avviene lo show
di "Mister Memory", poi in case con tanto di cadavere sul divano, su
rocamboleschi voli in aeroplano, in fughe dai treni, per valli, torrenti. Tutto
questo si palesa con la sola forza della loro mimica e della loro gestualità.
Poi ci sono i cambi d’abito e le parrucche, ma non solo quello: non basterebbe.
E’ uno spettacolo da consigliare a un pubblico giovane e da allettare alle
lusinghe del palcoscenico. Gli interpreti non si risparmiano e il tempo corre
veloce dietro alle peripezie di una trama poliziesca avvincente, ricca di
suspence e colpi di scena, che non è il caso qui di ricordare. E’ importante
sottolineare, invece, come il lavoro su un testo così famoso e reso celebre dal
film di Hitchcock brilli per una lodevole originalità formale. Meritati dunque
gli applausi.