Enrico e Giovanni
Cairoli, gli eroi di Villa Glori
L’Associazione
Garibaldini per l’Italia, l’A.N.G. (Associazione Nazionale
Garibaldina) e l’Istituto Internazionale di Studi Giuseppe Garibaldi
hanno reso omaggio, venerdì 26 ottobre, ai
caduti e ai combattenti di villa Glori.
I membri
dell’Associazione Garibaldini per l’Italia indossavano camicia rossa
garibaldina, fazzoletto e cappello.
Erano
presenti la Banda Municipale del Comune di Roma e il Picchetto
armato dei Lancieri di Montebello.
Nell’autunno del 1867, Roma, già stremata da una spaventosa epidemia
di colera, fu scossa da tre episodi che si susseguirono in un pugno
di giorni: l’esplosione della mina che il 22 ottobre fece saltare in
aria una parte della caserma Serristori, lo scontro del giorno
seguente a Vigna Glori, l’eccidio del lanificio Ajani.
Settantasei coraggiosi garibaldini
comandati da Enrico Cairoli, accompagnato dal fratello Giovanni,
erano giunti fino alle porte di Roma nel tentativo di
suscitare un’insurrezione armata nello Stato della Chiesa,
nell’ambito della campagna Nazionale dell’Agro Romano del 1867 che
si concluse con la sconfitta di Mentana. Resistettero eroicamente
alle truppe pontificie accorse in gran numero per contrastare la
loro iniziativa. Così Adriano Sconocchia, nel suo volume "Le camicie
rosse alle porte di Roma" (Gangemi 2011), descrive lo scontro del 23
ottobre a vigna Glori: "E’ ormai notizia certa che le camicie rosse
stanno per sferrare l’attacco decisivo alla capitale. Due
imbarcazioni con fucili a bordo, sotto la guida dei fratelli Cairoli
e 76 uomini, hanno iniziato la discesa lungo il Teverone (Aniene).
Mencacci, citando rapporti della gendarmeria, scrive che il piano
dei rivoluzionari prevedeva il sequestro del rimorchiatore che
quotidianamente risale il fiume agganciando le barche dei pescatori.
Una volta a bordo di quella imbarcazione, di grande stazza, le
camicie rosse sarebbero state calate con maggiore protezione verso
la capitale. Ma la gendarmeria, come sempre grazie ad una soffiata,
era già in allarme e previene la mossa architettata dai Cairoli
bloccando l’uscita del rimorchiatore nei giorni 22 e 23".
I
rivoluzionari attesero notizie da Roma, poi, all’alba, cominciarono
a salire la collina, fino ad arrivare alla vigna Glori,
Enrico
Cairoli si preparò a una disperata resistenza. Poche ore dopo arrivò
una compagnia di militari pontifici, nutrita e ben armata. Quanto
alle condizioni dei garibaldini, vengono subito in mente le parole
poste da Pascarella in bocca a Giovanni Cairoli: "Pensate che semo
settanta /
E che ci avemo sei cartucce a testa. / Nun
sparate che quanno so' vicini..."
Il
conflitto che ne seguì fu terribile. Al disperato valore dei
volontari si contrappose la spietata ferocia dei pontifici, nel
clima di forte tensione emotiva causato dall’attentato del giorno
precedente alla caserma Serristori. Enrico cadde colpito a morte,
Giovanni fu ferito gravemente, ma riuscì a raggiungere la casa del
vignaiolo, dove, insieme con altri compagni, poté ricevere le prime
cure. Gli assalitori furono costretti a retrocedere, spaventati
dall’audacia dei volontari e convinti che questi fossero solo
l’avanguardia di un corpo si spedizione assai più nutrito. Quando
tornarono, in forze, trovarono solo i feriti e quei pochi che erano
rimasti con loro. Qualcuno, continua Pascarella, "Rimase ner casale
chiuso drento /
Co' li feriti; e de nojantri, ognuno, /
Dopo che s'approvò lo sciojimento, /
Se sbandassimo tutti. Quarchiduno / Fu preso a Roma a piazza
Barberina; /
L'antri sperduti in braccio de la sorte /
Agnedero a schizzà' pe' la Sabina, / Li più se riformorno in
carovana, /
Passorno fiume, presero le córte /
Drento a li boschi, e agnedero a Mentana". Giovanni fu fatto
prigioniero, ma liberato il 7 dicembre. Rientrò a Pavia, sua città
natale, dove fu eletto consigliere comunale. Ma le ferite subite a
vigna Glori avevano irrimediabilmente compromesso la sua salute:
morì l’11 settembre del 1869 ad appena 27 anni.
L’impresa non era riuscita, ma il nome della vigna – oggi villa –
Glori sarebbe per sempre rimasto legato ai fratelli Cairoli e ai
loro volontari. Nel 1870, appena entrate le truppe italiane a Roma,
furono molti i patrioti che volevano visitare il luogo. Ma il
proprietario, il signor Glori, "clericale della più bell’acqua", non
ne volle sapere e chiuse a chiave l’ingresso. Il 23 ottobre dello
stesso anno, però, fu organizzata una manifestazione così imponente
che il Glori non poté più opporsi, soprattutto perché gliene aveva
chiesto espressamente il permesso l’on. Luigi Pianciani. Rispose che
concedeva l’autorizzazione non al deputato, ma al conte Pianciani,
contando sulla sua discrezione. Tutte le buone intenzioni del
deputato, però, andarono a rotoli, dal momento che i sentieri troppo
stretti della vigna non riuscirono a contenere la folla, che andò a
invadere vigna e campi, causando non pochi danni. Come racconta Pio
Vittorio Ferrari, reduce da quegli avvenimenti, "quanto al signor
Glori, volesse o no, dovette sorbirsi ogni anno un pio
pellegrinaggio, che per lui rappresentava un’invasione".
di
Cinzia Dal Maso
24 ottobre 2012 |