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Fu profanato da uno scultore francese nel 1798

Il capo di Beatrice Cenci

L’11 settembre del 1599, con l’accusa di parricidio, la ventiduenne Beatrice Cenci era salita al patibolo. Come narra Baldassarre Paolucci, agente del duca di Modena, "hanno fatto morire in Ponte quelle dame de Cenci; et la morte della giovane, che era assai bella e di bellissima vita ha commosso tutta Roma a compassione". Alle nove e un quarto di quella stessa sera, il corpo della fanciulla, elegantemente vestito, e con una corona di fiori sul capo, venne portato nella chiesa di San Pietro in Montorio, sul Gianicolo, accompagnato da cinquanta torce accese e da tutti i francescani di Roma. Il cadavere fu inumato davanti all’altare maggiore, presso il grande quadro con la Trasfigurazione di Raffaello, oggi ai Musei Vaticani.

Nemmeno i poveri resti di Beatrice, però, avrebbero avuto pace. Vennero profanati nel 1798, durante la prima Repubblica Romana, quando i soldati francesi che avevano occupato la città si abbandonarono a ogni sorta di razzia e requisizione. Persino le tombe furono violate per asportare il piombo delle casse. Il pittore Vincenzo Camuccini, allora venticinquenne, fu l’involontario testimone dell’atto sacrilego. Si trovava nella chiesa per restaurare la Trasfigurazione, in piedi su un’impalcatura. Dalla sua posizione elevata vide entrare nel luogo sacro un gruppo di soldati al seguito di uno scultore dell’Accademia di Francia, definito dal Camuccini "un repubblicano di quegli arrabbiati della montagna". I soldati, armati di paletti e vari altri attrezzi, cominciarono a sollevare le lastre di marmo, fino a trovare anche il corpo di Beatrice, con accanto il capo spiccato dal boia. Fu un attimo: lo scultore francese "per far dello spirito, rizzò in alto quel teschio e, ballottolandolo per le mani, seco il menavalo".

di Cinzia Dal Maso

14 marzo 2012

 

 

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