Il
lupo presso i greci non era un animale di buon augurio. Invece la
sua figura minacciosa nel mondo romano è rivolta verso gli eventuali
avversari e considerata guardiana dei propri spazi di dominio. I
nostri progenitori ne ammiravano soprattutto il coraggio.
La lupa
capitolina emana da secoli un fascino particolare. Quella scultura
in bronzo raffigura una belva agile e scattante. Con il pelame irto
e le fauci semiaperte a mostrare ringhiando una poderosa quanto
pericolosa dentatura, volge il capo repentinamente verso un qualche
segnale di pericolo che il suo raffinato istinto le ha fatto
riconoscere. Mentre gli occhi sbarrati sembrano fiammeggiare, le
orecchie si rizzano a cogliere anche il più piccolo rumore.
A un
secondo esame, si scopre il suo segreto: le mammelle gonfie di
latte. E’ una mamma, semplicemente una mamma pronta a dare la sua
vita per difendere i suoi figli, non importa se adottivi. Anche se
non sono lupacchiotti, ma teneri e indifesi cuccioli d’uomo, guai a
chi li volesse toccare. A prescindere dalle polemiche sulla
datazione della scultura, a parte il fatto che i gemelli sono di
epoca rinascimentale, questa è per tutti la vera immagine di Roma.
Del resto, rilievi di soggetto analogo sono frequentissimi in epoca
romana e tutti sembrano voler ricordare quell’accoglienza che ha
caratterizzato la storia della Città Eterna. Fino ai confini di quel
vasto impero, contava essere cittadini romani, non certo il colore
della pelle o la "razza", concetto che nemmeno esisteva. Così un
africano come Settimio Severo (193 – 211) o un asiatico, come
Alessandro Severo (222 – 235), potevano ricoprire la carica più
alta, divenire i padroni del mondo, senza che questo suscitasse il
minimo stupore.
L’espressione più limpida e consapevole del cosmopolitismo romano è
ancora precedente: si trova nel discorso di Claudio (41 – 54)
pronunciato nel 48 d. C.e tramandato dallo storico Tacito nei suoi
Annales, con il quale l’Imperatore convinse il Senato a concedere a
cittadini Galli l’accesso a magistrature romane. I "primores" della
Gallia Comata avevano chiesto infatti di poter accedere agli onori e
di conseguenza al Senato.
Dopo
aver ricordato come regioni e popoli d’Italia si fossero fusi nel
nome di Roma, Claudio spiegò che accogliendo "come cittadini i
Transpadani" si era potuto "risollevare l’Impero stremato,
assimilando le forze più valide delle province".
"Perché
pensate che siano decaduti Spartani e Ateniesi"? La risposta è quasi
ovvia: "perché trattavano i vinti come stranieri". "Romolo invece,
il fondatore della nostra città – continuò Claudio - fu così saggio
da considerare parecchi popoli, in uno stesso giorno, prima nemici e
subito dopo concittadini. Stranieri ebbero presso di noi il regno e
abbiamo affidato uffici pubblici a figli di schiavi affrancati". In
ultimo, Claudio assestò anche un colpo mortale a quel
tradizionalismo privo di significati che troppo spesso paralizza le
nostre azioni e i nostri pensieri: "tutte le cose che ora si credono
antichissime, un tempo furono nuove. Dopo i magistrati patrizi
vennero i plebei. Dopo i plebei i Latini. Dopo i Latini quelli degli
altri popoli italici. Anche la deliberazione di oggi invecchierà e
quello che adesso noi giustifichiamo con antichi esempi, un giorno
sarà citato tra gli esempi".
Claudio
era consapevole che gli uomini migliori di Gallia, Spagna, o Africa,
i dotti, gli scienziati e i letterati di Grecia e Asia avrebbero
dato un contributo determinante alla crescita dello Stato romano,
come lo avevano dato nel passato gli Etruschi o i Sanniti.
Quando,
grazie a Caracalla (211 – 217), la cittadinanza romana venne
conferita a tutti i sudditi dell’impero, il processo poteva dirsi
concluso.
Anche
la religione risentiva di questo clima multietnico. Già dalla fine
dell’epoca repubblicana correnti filosofiche e culti stranieri
avevano modificato le antiche credenze e dato vita a nuovi
sincretismi, sempre nel rispetto e nella tolleranza degli altri. I
cristiani, è vero, subirono le persecuzioni, ma perché si
sottraevano al culto imperiale. Per il resto ogni religione aveva il
"diritto di cittadinanza", nel rispetto delle leggi vigenti.
Ancora
una volta, dal passato arriva un grande esempio di civiltà. Peccato
che su una società così evoluta pesi come un macigno il più
aberrante degli istituti, quello della schiavitù, che permetteva di
considerare un essere umano alla stregua di un oggetto. Ma questa è
un’altra storia.