Il
titolo dello spettacolo in scena al Teatro dell’Angelo (Via Simone
de Saint Bon) fino al 10 giugno, "Una pelliccetta sfrangiata",
lascerebbe supporre, visto che l’interprete di questo monologo è
Antonello Avallone, una rappresentazione ambientata nella Napoli
popolare del secolo scorso, quella di Scarpetta o di Eduardo.
Invece, è tutt’altro genere: lo spettatore si trova ad assistere ad
un "noir psicologico a tinte comiche", secondo la definizione
dell'autore del testo, Daniele Falleri.
Il
personaggio al centro del palcoscenico, che lo occupa totalmente
dall’inizio alla fine, è un uomo, tale soltanto per i dati
anagrafici, ma pienamente gay con l’ambizione di sfondare come
attore. Attraverso gli anni successivi alla giovinezza ha maturato
sempre più l’irrefrenabile impulso, quasi un’ossessione, di
liberarsi di tutte le persone della propria famiglia con mezzi
diversi: prima elimina la madre oppressiva fin dall’infanzia, poi il
padre insensibile alle sue aspirazioni artistiche, segue il fratello
gemello Saverio – ucciso a martellate - perché non vuole liberarsi
della fidanzata, soprannominata la "giraffa", tanto odiata perché
non ritenuta idonea ad assecondarlo nelle sue abitudini. Altro
sarebbe stato invece "se nascevo donna", dice con un sorriso
di compiacimento: "allora sarei stata sua sorella e avrei pensato
a lui nel modo dovuto".
Questa
graduale liberazione del personaggio da coloro che per anni hanno
"avviluppato e soffocato" la sua "doppia" esistenza, ignorando
volutamente le sue legittime aspirazioni, è interpretata da Avallone
con magistrale equilibrio artistico, dando la giusta vitalità
all’aspetto psicologico-esistenziale di una figura decisamente
complessa nella sua doppia identità di genere, ma al tempo stessa
dotata di una vitalità dagli aspetti spesso comici e grotteschi nei
suoi intenti omicidi, ma anche a tratti decisamente tristi. In ogni
caso lo spettatore è indotto, almeno momentaneamente, e in questo è
la capacità recitativa di Avallone, ad allontanare dalla mente
l’inevitabile condanna per gli omicidi. In sostanza, Avallone ha
saputo interpretare, con un lungo e impegnativo monologo dagli
aspetti paradossali, un malessere esistenziale presente nelle
diversificazioni della società di oggi, impersonando un personaggio
in cui facilmente poteva prendere il sopravvento l’aspetto della
simpatica macchietta del "diverso", la cui grande aspirazione
è quella di mostrarsi in pubblico vestito da donna: una "grande
interpretazione" messa in scena al funerale del suo analista.
Coniugare in modo equilibrato la riflessione e il sorriso è la vera
prova del nove per essere padroni della scena teatrale, l’unica via
da seguire per catturare e tenere alta l’attenzione dello spettatore
per tutto uno spettacolo. In questo Antonello Avallone con la sua "pelliccetta
sfrangiata" si è dimostrato ancora una volta un maestro. La
regia è di