Domenica
scorsa, nella Valle della Caffarella, si è tenuta la decima edizione
della "festa degli animali domestici e da cortile", promossa e
organizzata dall’Ente Parco. Ieri, poi, nella ricorrenza di
Sant’Antonio Abate l'Associazione italiana degli allevatori
ha organizzato la tradizionale esposizione di animali da fattoria in
Piazza Pio XII, presso il colonnato del
Bernini. Il cardinale Angelo Comastri,
arciprete della Papale Basilica di San Pietro e Vicario Generale di
Sua Santità per la Città del Vaticano, ha impartito in piazza San
Pietro la benedizione a tutti i presenti e ai loro
piccoli amici a quattro e due zampe.
Ma come
è nata in Italia l’attenzione per i diritti del mondo animale? Forse
non tutti lo sanno, ma fu proprio merito di Giuseppe Garibaldi,
spinto da una sua cara amica irlandese, Anna Winter, contessa di
Sutherland, che nel corso di una sua visita in Italia era rimasta
fortemente colpita dal mondo inumano con quale erano trattati gli
animali, utilizzati nelle campagne fino allo sfinimento per i lavori
nei campi, la produzione di carne, lana, latte, uova e formaggio. Le
bestie considerate inutili o nocive erano sterminate senza pietà
mentre le battute di caccia facevano autentiche stragi. In città
c’erano soprattutto i cavalli, frustati e presi a calci a ogni
occasione.
Così
l’Eroe dei Due Mondi nel 1871 scrisse una lettera al suo amico
Timoteo Riboli, medico torinese, dandogli disposizioni per fondare a
Torino nel 1871 la Regia società torinese protettrice degli animali
– l’attuale Enpa – per difenderli dai maltrattamenti "come mezzo di
educazione morale e di miti costumi". La società ebbe sede in via
Accademia Albertina 29 e i suoi primi presidenti onorari furono i
soci fondatori: Giuseppe Garibaldi e Anna Winter. "Proteggere
gli animali contro la crudeltà degli uomini, dar loro da mangiare se
hanno fame, da bere se hanno sete, correre in loro aiuto se
estenuati dalle fatiche; questa è la virtù più bella del forte verso
il debole", così, sintetizzando in modo sublime il suo pensiero,
scrisse Garibaldi, che nell’ultimo periodo della sua vita era
diventato vegetariano.
A
testimonianza della sua sensibilità, l’amore per la bella cavalla
che il marchese Sebastiano Giacalone Angileri gli aveva regalato
l’11 maggio del 1860 al suo arrivo a Marsala e a cui aveva voluto
dare il nome della città siciliana. In groppa a lei avrebbe
combattuto a Calatafimi e in altre battaglie. Diceva che era mite e
coraggiosa al tempo stesso, capace di non arretrare di un passo
nonostante le grida, gli scoppi e il caos. Per suo amore tentò
invano di far crescere dell’erba fresca sull’arida e rocciosa
Caprera, finché non si rassegnò a farle arrivare il fieno dal
continente. Quando morì, le fece erigere una tomba sull’isola e ne
volle dettare lui stesso la lapide: "Qui
giace la Marsala che portò Garibaldi in Palermo nel 1860. Morta il 5
settembre 1876, di anni 30".