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Ai Musei Capitolini i recuperi della Guardia di Finanza

Feste, danze e furori alle origini del Carnevale

Sono lontanissime le origini della festa più pazza dell’anno: il Carnevale. Dobbiamo risalire ai riti propiziatori per l’agricoltura del mondo pagano. In Egitto, protagonista delle cerimonie, era un bue: tutto il popolo si dava ad una settimana di divertimenti e mascherate che culminavano, poi, con il sacrificio della povera bestia.

Le "feste della trasgressione" greche erano invece legate al culto del più passionale degli dei, Dioniso, protettore della vegetazione, che si manifestava agli uomini attraverso la nascita della vite, da cui si ricava il vino, bevanda dell'ebbrezza e dell'estasi. Singolare era la sfilata che si svolgeva per le strade della Grecia. Un uomo incoronato con pampini e grappoli d'uva, a cavallo, o su un carro trainato da buoi bianchi, raffigurava il dio, mentre intorno a lui, uomini e donne mascherati cantavano e schiamazzavano. Il culto di Dioniso giunse anche a Roma. Qui il dio prese il nome di Bacco e le feste in suo onore erano i movimentatissimi "Baccanali". Il popolo correva per le strade vestito di pelli animali, con il capo cinto di ghirlande di edera e di vite, urlando, cantando, ballando e suonando corni e timpani. Gli adepti, in onore del dio, si abbandonavano a copiose libagioni di vino. Il potere centrale, però, guardò sempre con una certa preoccupazione ai riti bacchici, sospettando che, soprattutto nel segreto delle mura domestiche, potessero dar luogo ad eccessi. E così il Senato, nel 186 a.C., ritenne di dover proibire la libera pratica del culto, che si sarebbe potuto svolgere solo dietro l’autorizzazione del pretore urbano, al massimo da cinque persone per volta. Come c'era da aspettarsi, la restrizione finì con il rendere solo più segreti ed intriganti i riti bacchici. Già prima che i Baccanali fossero importati nella città, Roma celebrava feste "liberatorie" come i Saturnali e soprattutto i Lupercali. Queste ultime prendevano il nome dalla grotta alle pendici del Palatino, il "Lupercal", in cui sarebbero stati allevati Romolo e Remo e si celebravano proprio a febbraio, mese nell’antichità dedicato a riti espiatori. Alcuni giovani, detti "luperci", correvano seminudi per la città, con una pelle di capra sui fianchi e una maschera di fango sul viso, frustando le donne e la terra per renderle fertili.

"Vediamo che i sacerdoti Luperci – scriveva Plutarco – iniziano la loro corsa attraverso la città dal punto preciso dove la tradizione vuole che Romolo fosse abbandonato. I Sacerdoti corrono per la città battendo con le strisce di pelli di capra quanti incontrano. Specialmente le giovani spose non si ritraggono davanti alle frustate credendo che favoriscano i concepimenti e facilitino i parti".

Nei primi secoli del Cristianesimo i Padri della Chiesa faticarono non poco e naturalmente invano, per convincere i loro fedeli ad abbandonare gli eccessi dei Baccanali e dei Saturnali che. Li ritroveremo, poi, nella nuova veste cristiana, in epoca medioevale, nelle "feste dei pazzi".

E nel Carnevale, periodo di spensieratezza prima della Quaresima, tempo di mortificazione, penitenza e digiuno. Alcuni ritengono che il nome della festa derivi proprio dal latino "carne vale", triste saluto dato alla carne, prima del periodo quaresimale.

Fino al prossimo 11 marzo, i Musei Capitolini ospitano la mostra "Feste, danze e furori: dal corteo dionisiaco al Carnevale", una imperdibile occasione per conoscere alcuni dei più recenti e importanti reperti archeologici recuperati dalla Guardia di Finanza

La mostra affronta alcuni dei riti dell’Antica Roma di cui l’odierno Carnevale rappresenta l’evoluzione: i Saturnalia, i Baccanalia e, più in generale, le feste celebrate dai Romani.

Dioniso o Bacco, le menadi, i satiri, le amazzoni sono i protagonisti di un percorso espositivo che, attraverso circa 20 reperti archeologici tra frammenti di affreschi, kylix, anfore e, più in generale vasi, tutti risalenti al periodo tra VI secolo a.C. e il I secolo d. C., racconta vicende centrali della cultura antica legata alle feste. Si tratta di una mostra interamente realizzata con opere recuperate attraverso la lunga e laboriosa attività investigativa del Gruppo Tutela del Patrimonio Archeologico della Guardia di Finanza che agisce per la protezione del patrimonio artistico nazionale ed in particolare per la vigilanza delle aree archeologiche oggetto di scavi clandestini e nella repressione dei relativi traffici. La cura dell’esposizione è del Maggiore Massimo Rossi, Comandate del Gruppo Tutela del Patrimonio Archeologico della Guardia di Finanza, con Fabrizio Porcaroli.

Si accede alla mostra con il biglietto d’ingresso ai Musei Capitolini.

di Annalisa Venditti

17 febbraio 2012

 

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