Dopo
la breve ma intensa esperienza della Repubblica Romana, il 12 aprile
del 1850, alle quattro del pomeriggio, Pio IX rientrava
trionfalmente in Roma da porta San Giovanni. Era passato quasi un
anno e mezzo dalla sera del 4 novembre 1848, quando il pontefice,
travestito da semplice sacerdote, era precipitosamente fuggito dalla
città eterna su una carrozza del conte Spaur per rifugiarsi a Gaeta.
Il
viaggio di ritorno era durato ben otto giorni e aveva attraversato
le città di Terracina, Fossanova, Frosinone, Valmontone e Velletri.
Secondo le cronache dell’epoca, "l’affluenza della popolazione lungo
lo stradale percorso dal S.S. dal Laterano al Vaticano, le generali
acclamazioni, l’universale tripudio giunsero al colmo, e porgerà
motivo di particolare compiacenza la spontaneità e sincerità da cui
veniva accompagnata la pubblica esultanza. Nella sera ebbe luogo per
tutta la città un’assai brillante e generale illuminazione". In
effetti, dalle relazioni dei diplomatici stranieri, da alcune
lettere e dai diari esce un quadro del tutto diverso. L’esultanza
della folla era alquanto composta e quelli che si lasciavano andare
a caldi battimani davano piuttosto l’impressione di essere stati
prezzolati dalla polizia, che nei giorni precedenti aveva fatto
autentiche retate di individui "sospetti", arrestati
preventivamente.
La
ricorrenza del 12 aprile avrebbe assunto una duplice valenza a
partire dal 1855. Proprio in quel giorno, Pio IX aveva visitato
l’oratorio di S. Alessandro sulla via Nomentana, da poco scoperto,
quindi si era recato in una sala della canonica della basilica di
Sant’Agnese fuori le mura. L’eccessiva affluenza di pubblico aveva
fatto crollare il pavimento, facendo rovinosamente precipitare al
piano sottostante il Papa insieme con altre 130 persone, per lo più
gli alunni del collegio urbano di Propaganda Fide e fedeli ammessi
al bacio del santo piede. Pontefice, cardinali e studenti, ancora
storditi per l’immenso frastuono e in una nuvola di polvere,
iniziarono a vagare confusi, dandosi coraggio l’un l’altro. Ci
furono solo pochi feriti, nessuno in maniera grave, e nemmeno un
morto. Il Papa avrebbe parlato di un "solenne miracolo".
Carlo
Ripandelli, nel 1867, inserì nella sua raccolta di poesie sacre un
sonetto dedicato all’avvenimento: "Nel cupo orror dell’Erebo
profondo, / Ove lo spinse l’angelo di Dio, / S’impallidì quando
Satanno immondo / La voce intese risuonar di Pio. / Ma allor che al
pié della gran Donna il mondo / Vide curvarsi riverente e Pio, /
Arse d’immensa rabbia, e furibondo / Giurò ch’altri dovea pagarne il
fio. / E pria l’agguato orribile compose, Che la vita di Pio trasse
in periglio, / Poi l’opra iniqua a sogguardar si pose. / Ma a
salvarlo Maria dall’alto venne, / E pietosa su Lui volgendo il
ciglio, / Gli fe’ scudo col braccio e lo sostenne".