Guy
Foucois, detto Le Gros, era nato da una famiglia borghese nell’ultimo decennio
del Duecento a Saint Gilles sul Rodano, un 23 novembre. Aveva lasciato molto
giovane la sua città per andare a combattere i mori. Aveva poi studiato con
passione, diventando avvocato e giurista di chiara fama e arrivando a ricoprire
le cariche di consigliere e segretario del re Luigi IX. Si era anche sposato con
una nobile dama che gli aveva dato parecchi figli, di cui però sopravvissero
solo due femmine, Mabilie e Cecile. Intorno al 1250 rimase vedovo e nel 1255
abbracciò il sacerdozio. La sua carriera ecclesiastica fu rapidissima: fu
avvocato concistoriale, vescovo di Puy, quindi arcivescovo di Narbona, cardinale
vescovo di Sabina e legato in Inghilterra. Il 5 febbraio del 1265 fu eletto Papa
e prese il nome di Clemente, in onore del santo del giorno in cui era nato.
Il pontificato di
Clemente IV durò poco meno di quattro anni e lasciò un’impronta di un certo
rilievo nella storia della Chiesa. Le qualità che lo contraddistinguevano erano
il rigore morale e l’onesta, doti molto rare tra i suoi contemporanei. Combatté
con estrema durezza la corruzione e governò con fermezza e determinazione gli
affari della Chiesa. Non si volle macchiare di alcuna forma di nepotismo, anzi,
appena eletto scrisse una lettera chiara e tonda a un suo nipote, avvertendo
lui, i suoi fratelli e gli altri parenti che non si sarebbero dovuti presentare
al suo cospetto senza essere invitati. Stabilì che sua nipote, sposata a un
modesto cavaliere, si sarebbe dovuta accontentare di un assegno di trecento
tornesi d’argento. Quanto alle sue stesse figlie, stabilì senza mezzi termini
che si sarebbero dovute trovare marito come se lui fosse stato un semplice
chierico, perché non intendeva certo sottrarre del denaro alla Chiesa per dar
loro una ricca dote. Così andò a finire che le due povere fanciulle rimasero
zitelle. Mabilie fin dall’inizio del pontificato paterno si fece suora.
In realtà, secondo
quanto riporta l’Hocsemio, un giovanotto assai cerimonioso, nel 1268, era andato
a chiedergli in sposa Cecilia. Clemente gli aveva risposto con un bel sorriso:
"non è Cecilia che voi vorreste sposare, ma la figlia del Papa: ed è in questo
che sta il vostro errore, perché Cecilia non è la figlia del Papa, ma di Guido
Gross, che è un pover’uomo. privo di ogni influenza e di ogni bene di fortuna".
Il pretendente se la diede a gambe e tutti gli altri eventuali partiti si
tennero alla larga, tanto è vero che alla fine Clemente si decise a concedere un
piccolissimo assegno a Cecilia, che acquistò alcune terre e rendite nella nativa
Sain Gilles, che le permisero di ritirarsi – intorno al 1272 - nel convento di
St-Sauveur-de-la-Fontaine a Nimes, dove morì intorno al 1287..
Un nipote del
Pontefice era arrivato a possedere tre prebende, anche se non particolarmente
redditizie. Quando Clemente se ne accorse, la cosa gli parve addirittura
scandalosa e impose al nipote di sceglierne una, rinunciando alle altre due.
Questi si affrettò ad ubbidirgli, certo che in caso contrario le avrebbe perse
tutte e tre.
L’intransigenza di
Clemente IV si manifestò però anche in altri campi, con risultati a volte
sconcertanti: autorizzò l’uso della tortura nelle cause d’eresia, fu severissimo
con gli ebrei recidivi, mise in atto una totale chiusura nei confronti dei
musulmani e avversò con tutte le sue forze gli Svevi, da Manfredi a Corradino.
Clemente non amava
l’ambiente romano e fin dal maggio del 1266 trasferì la corte papale a Viterbo.
Si insediò nel palazzo vescovile, che divenne così il palazzo papale. Nella
città laziale incontrò spesso San Tommaso d’Aquino, suo grande amico, che teneva
cicli di prediche nella chiesa di Santa Maria Nuova. Ebbe anche uno stretto
rapporto con il francescano inglese Roger Bacon, famoso alchimista, scienziato e
filosofo.
Fu proprio a
Viterbo che, il 29 novembre del 1268, Clemente IV morì per un malore improvviso.
Grande fu la commozione di tutti i cittadini viterbesi, che avevano per lui una
enorme considerazione. Il pontefice fu seppellito – secondo la sua volontà –
nella chiesa domenicana di Santa Maria in Gradi. Il culto che si sviluppò ben
presto intorno alla tomba nel 1271 ne provocò lo spostamento nella cattedrale
cittadina di San Lorenzo. Fu Innocenzo V a ordinare che fosse riportata a Santa
Maria in Gradi, dove rimase fino al 1885, quando fu trasferita nella basilica di
San Francesco alla Rocca, dove ancora si trova, presso il sepolcro di Adriano V.