Sabrina Frontera,
dell’Università La Sapienza di Roma, da anni impegnata in ricerche storiche
sugli I.M.I., ha parlato dell’esperienza terribile che ha accomunato Andrea
Baroni a oltre 600 mila nostri connazionali, catturati dai tedeschi dopo l’8
settembre del 1943. La studiosa si è soffermata su un passo del volume, nel
quale il generale Baroni ricorda come, durante il fortunoso viaggio di ritorno a
casa dopo la fuga dal lager, alcuni contadini italiani si fossero rifiutati di
ospitare lui e i suoi compagni su un carro merci: "chiarimmo la nostra posizione
di reduci. A dire il vero il nostro racconto li lasciava del tutto indifferenti.
Non suscitavamo loro alcun interesse, nessuna comprensione". Questo
atteggiamento, ha spiegato Sabrina Frontera, fu un primo assaggio di quello che
avrebbe aspettato gli I.M.I. al loro rientro in Italia.
Paola Vinciguerra,
psicologa e presidente della Eurodap, ha analizzato il modo in cui Baroni ha
saputo vivere la sua prigionia e la sensibilità con cui Annalisa Venditti lo ha
aiutato ad aprire la sua cassaforte dei ricordi. "Il libro – ha detto – racconta
l’amicizia, la speranza,
l’imparzialità
nella distribuzione del cibo, pur in una condizione di indigenza e di fame. Dà
un grandissimo segno di speranza. Baroni ha raccontato le persone mettendo in
rilievo la loro parte umana. Annalisa ci ha regalato non un pezzo di storia, ma
un altro modo di vedere la storia. Ci ha fatto scoprire un uomo che anche nel
momento del dolore ha saputo essere un cavaliere e rubare delle rose per
regalarle alla sua anziana padrona di casa".
Anche l’avvocato
Nino Marazzita ha preso la parola per un breve fuori programma. Dopo essersi
complimentato con Annalisa per la sua capacità di scrivere al di fuori dei
generi e degli stereotipi, ha descritto il generale Baroni come un uomo integro,
modesto, solido, che risultava simpatico anche nel fare le previsioni del tempo.
"Mi ha colpito – ha aggiunto – la descrizione di un lager in cui non c’è niente
di truculento, ma una quotidianità in cui non si può disporre della propria
vita".
L’attore Valerio
Colangelo ha intervallato con la lettura di alcuni brani del volume gli
interventi dei vari relatori, coordinati da Liliana Bilello, che ha fatto,
insieme con Gaudia Sciacca, gli onori di casa a tutti gli ospiti della
biblioteca Rispoli.
Infine, Stefano
Caccialupi, segretario generale dell’A.N.E.I. (Associazione nazionale ex
internati) ha invitato i presenti a visitare la mostra "Entro dipinta gabbia"
nella galleria della Mediateca della biblioteca.
L’esposizione,
curata da Annalisa Venditti con l’allestimento di Cinzia Dal Maso, visitabile
fino al prossimo 29 ottobre, raccoglie alcune significative riproduzioni di
opere eseguite nei lager, dove l’arte fu un sostegno non solo per l’anima, ma
anche materiale. Infatti ci fu tra i militari italiani internati chi, dotato di
particolari qualità artistiche, cercò di astrarsi da quella dura e tragica
realtà realizzando, attraverso i pochi mezzi a disposizione, disegni o ritratti.
Spesso gli artisti
internati barattarono con le sentinelle tedesche i loro lavori in cambio di
qualche colore, un pennello, sigarette, medicinali, o scarse ma preziose razioni
di cibo: una patata, un cucchiaio di grasso, un po’ di acqua bollente, un pezzo
di pane, magari una cipolla, da dividere il più delle volte con i compagni meno
fortunati.
A ispirare il
titolo della mostra sono il verso di una poesia giovanile di Giacomo Leopardi e
un disegno del pittore romano Walter Lazzaro: "La fame in gabbia", realizzato
nel 1943 nel campo polacco di Biala Podlaska.
Nel percorso
proposto trovano spazio anche riproduzioni di opere di Michelangelo Perghem
Gelmi, Mauro Masi, Michelino Pergola e Giovannino Guareschi.
Il loro anelito
alla libertà è sottolineato dalla scelta di alcuni brani tratti da diari o
memorie di ex internati. Come le parole di Francesco Piero Baggini:
"l’arte ha vinto. L’arte supera le passioni, i partiti:
l’arte vince ove la forza cede".