Il
complesso di Villa Torlonia (via Nomentana 70) diventa ancora più ricco e
interessante con la collezione di Francesco Ingrao e Ksenija Guina, donata dagli
eredi a Roma Capitale ed esposta in permanenza nel Casino Nobile, presso il
Museo della Scuola Romana, grazie all’Assessorato alle Politiche Culturali e
Centro Storico di Roma Capitale-Sovraintendenza ai Beni Culturali.
Organizzazione e servizi museali sono di Zètema Progetto Cultura.
Molte opere della
collezione, tra cui un piccolo ma importante nucleo di Alberto Burri, recano la
dedica dell’artista. La raccolta, infatti, fu frutto dei rapporti di amicizia
intessuti da Ingrao, sia tramite la professione di medico sia frequentando gli
splendidi e vitali luoghi della scena artistica romana, come Villa
Massimo, dove lavoravano Marino Mazzacurati e Renato Guttuso, l’Aventino dov’era
lo studio di Corrado Cagli e via Margutta di Pericle Fazzini e Giovanni
Omiccioli.
Nel corso degli
anni Ingrao ha intensificato questo tipo di contatto professionale e umano,
ampliando i rapporti con i pittori e gli scultori e stabilendo con molti di loro
- Renato Guttuso, Giulio Turcato, Mirko Basaldella, Mario Mafai - legami di
regolare frequentazione e amicizia. Altro paziente amico fu Renzo Vespignani, il
giovane pittore delle periferie romane. Corrado Cagli soleva dire di essersi
ispirato, per alcune sue opere, ai batteri al microscopio che aveva visto quando
andava a trovare Ingrao al Forlanini.
Gli studi, i luoghi
d’incontro, le abitazioni degli artisti, diventano ambienti familiari per
Francesco Ingrao anche grazie a Moroello Morellini, medico, scultore e grande
appassionato d’arte, di cui era assistente a inizio carriera e con cui aveva
instaurato un profondo legame di amicizia. Il loro studio privato era
frequentato dagli artisti che i due medici, negli anni difficili del dopoguerra,
assistevano sia con l’attività medica sia aiutandoli nella vendita delle loro
opere.
In questo stesso
periodo, Morellini amplia e completa la sua collezione mentre Francesco Ingrao e
la moglie Ksenija iniziano la loro, saltando la mediazione delle gallerie e dei
mercanti e affidandosi ai propri rapporti con gli artisti. Nel tempo la loro
raccolta si arricchisce di almeno un centinaio di opere continua a crescere
considerevolmente negli anni ‘70 e ’80. Dopo la scomparsa di Francesco, il 27
settembre 2003, e di Ksenia, nel febbraio 2010 Mirjana Jovic (sorella di Ksenija)
dona a Roma Capitale trentacinque opere della collezione Ingrao – Guina.
In questa preziosa
raccolta si svela un aspetto particolare del mecenatismo del Novecento, che ha
origine nella passione per l’arte e nell’interesse umano verso l’artista. Un
importante patrimonio che la sinergia tra donatore privato e istituzione
pubblica consente oggi di non disperdere e che riassume in sé la storia del
collezionismo romano negli anni del nostro dopoguerra e la sua intensa e
straordinaria stagione artistica.
"C’è l’arte nel
sangue degli Ingrao", ha spiegato Umberto Broccoli, Sovraintendente ai Beni
Culturali di Roma Capitale. "Non solo politica e impegno sociale. Pietro,
direttore de L’Unità e già presidente della Camera, non ha mai nascosto il suo
amore per cinema e letteratura. Leopardi fra tutti. Suo fratello Francesco, e la
moglie Ksenija, conosciuta in sanatorio durante la malattia ai polmoni,
condividono invece la passione per la pittura. Veri e propri mecenati che
raccolgono, in tanti anni di vita insieme, tele, schizzi, bozzetti. Primario del
Forlanini, Francesco coltiva l’impegno civico (impronta di famiglia) in maniera
però del tutto personale: coniugandolo con il mestiere di medico. Quello con i
pittori è uno scambio professionale. Assiste e cura artisti squattrinati e
questi per ripagarlo gli regalano l’ultima creazione. Oppure tiene le tele degli
amici nello studio e le "propone" ai pazienti più facoltosi come un buon affare.
Un modo sobrio e dignitoso per aiutare quei nomi ancora sconosciuti ai più che
diventeranno poi Mirko Basaldella, Corrado Cagli, Renato Guttuso.
A loro, dai primi
incontri dopo la guerra e per tutta la vita, lo legheranno semplice conoscenza,
stima e apprezzamento professionale, inclinazione all’arte, e più spesso vera e
propria amicizia. Con alcuni trascorre serate appassionate a discutere di
pittura a cenare piacevolmente. È una familiarità forse dettata dall’attitudine
alla compagnia delle origini a Lenola (con Pietro e Francesco bambini vivevano,
oltre ai genitori ed altre due sorelle, due cugine rimaste orfane). Un’intimità
pregna di contenuti di livello e di uno scambio tra artisti che l’epoca ancora
consente".