Non appena
l’Imperatore se ne tornò a casa sua, cominciarono le accese discussioni per la
sistemazione definitiva del giardino, tra polemiche e finanziamenti che andavano
e venivano. Finalmente nel 1994 i lavori erano finiti, con un laghetto, uno
spazio ellittico centrale e la soluzione della doppia scalea che collega ancora
via del Quirinale con via Piacenza, grazie all’architetto francese Edouard
André. Nel giardino avrebbe dovuto trovare posto la bellissima fontana del
Prigione, proveniente dalla villa Montanto, demolita nel 1887 per fare posto
alla stazione Termini. Poi, però, non se ne fece niente e la fontana passo dai
magazzini del ministero dell’Interno a via Genova, da dove fu definitivamente
sistemata alle falde del Gianicolo, a fare da sfondo a via Luciano Manara.
La prima seria
modifica al giardino fu l’erezione, nel parterre dell’aiuola centrale, del
monumento a Carlo Alberto di Savoia – Carignano, progettato nel 1898, nel primo
centenario della nascita. La statua equestre, in bronzo, raffigura il re di
Sardegna, in uniforme di
generale piemontese e leggermente chino in avanti, nell’atto di trattenere per
le briglie un cavallo scalpitante. Opera dello scultore toscano Raffaele
Romanelli (1856-1928), venne fusa nella celebre fonderia Lippi di Pistoia.
Sul piedistallo
della statua sono collocate due formelle in bronzo che celebrano le principali
imprese di Carlo Alberto. In quella che guarda verso il Quirinale è raffigurata
la battaglia di Goito, presso Mantova, in cui il 30 maggio 1848 Carlo Alberto,
alla guida dell’esercito sardo – piemontese, sconfisse gli Austriaci. Nella
formella opposta il Romanelli ha voluto ricordare la stesura dello statuto
albertino, ambientata in un interno di squisito gusto sabaudo. Lo statuto,
promulgato il 4 marzo del 1848, era stato redatto sul modello di quelli delle
monarchie costituzionali europee.
La solenne
inaugurazione si svolse il 14 marzo del 1900 alla presenza del nipote Umberto I
e della sua consorte, la regina Margherita. Il giorno precedente il monumento
era ancora circondato dal suo castello di legno, eliminato a tempo di record dai
soldati del genio e dai vigili del fuoco, che vi avevano lavorato tutta la
notte. Il cielo, scurissimo, minacciava un memorabile diluvio. Anche la tribuna
reale dovette essere riparata in fretta e furia, dal momento che alcune folate
di vento dispettose avevano strappato gli eleganti drappi rossi, scoprendo
l’armatura lignea. Fino all’ultimo continuavano ad arrivare le sedie per gli
invitati su carretti trainati da somari. A dispetto di tanti inconvenienti,
tutto sembrava pronto all’arrivo dei sovrani, alle 11,20, annunciato dalle note
della marcia reale e accompagnato dagli applausi della folla. Anche il cielo si
era aperto ed era tornato a splendere il sole. Invece, una volta che uno squillo
di tromba diede il segnale ai vigili del fuoco di far cadere il lenzuolo bianco
di mussola che ancora copriva il gruppo, nonostante un primo entusiasmo dei
presenti, ci si rese conto che c’era ancora qualcosa che non andava: a Carlo
Alberto mancavano la briglia, la staffa destra e persino la sciabola. Ma ormai
era troppo tardi per porvi rimedio e la cerimonia continuò come se niente fosse,
davanti alla giunta comunale, a ministri, parlamentari, a Menotti Garibaldi,
alle rappresentanze diplomatiche di Russia, Austria e Giappone. Primo a prendere
la parola fu l’avvocato Quirico, presidente del comitato promotore, che fece
notare il maestoso portamento di Carlo Alberto e la nobile fierezza del suo
sguardo pensoso, in cui brillavano "il pensiero e il proposito generoso della
rivendicazione nazionale. "Tale – aggiunse – è reso redivivo e spirante
dall’illustre scultore Raffaele Romanelli che, con le creazioni dell’arte sua
nobilissima, onora Firenze e L’Italia".