La
solenne sconfitta subita il 30 aprile 1849 dai francesi all’assedio di Roma fu
determinata anche dal coraggio di un giovane romano. Paolo Narducci era nato l’8
giugno del 1829 ed era stato battezzato in San Pietro. Aveva studiato con
profitto prima disegno all’Accademia di San Luca, poi filosofia e matematica.
Nel marzo del 1848
avrebbe voluto partecipare alla prima guerra di indipendenza, ma i suoi genitori
non glielo permisero. Intanto diventava cadetto d’artiglieria e poi tenente in
seconda. Appena saputo dello sbarco delle truppe di Oudinot a Civitavecchia
chiese e ottenne di essere mandato in prima linea, destinato prima a Porta
Angelica, quindi ai bastioni di Santa Marta sui Giardini Vaticani, vicino alla
Porta Pertusa. Qui si rese subito conto che la via Aurelia, da cui sicuramente
sarebbe giunto il nemico, era difesa solo da due obici posti in cannoniere male
costruite e disse ai suoi colleghi: "qui con quattro colpi di cannone mi
mandano per aria i parapetti e gli artiglieri, e da queste vigne dovrò finire
con una palla in petto". Quindi avvertì il comando dell’esistenza di una
strada che girava alle falde di Monte Mario e poteva essere usata dal nemico per
sorprendere Porta Angelica, di cui chiese di rinforzare le difese. Come il
giovane aveva previsto, una parte dei francesi prese la strada a valle di Monte
Mario per tentare di ricongiungersi al resto della truppa che intendeva entrare
nei giardini vaticani dopo aver sfondato la Porta Pertusa. Qui però gli
assalitori trovarono il coraggio e la tenacia del Narducci, che seppe battersi
come un vecchio soldato, mentre i suoi gli cadevano ai piedi morti o feriti. Fu
anche costretto a caricare e puntare il cannone da solo, finché una palla di
stutzen lo ferì mortalmente al petto. Ma i francesi non entrarono. Paolo
Narducci morì all’ospedale di Santo Spirito alle due e mezza del mattino del 2
maggio.