Filippo
Casini, nato il 13 gennaio 1822 a Roma, si era laureato in
ingegneria. Conosceva sette lingue e si era meritato l’alto grado di
ufficiale onorario di artiglieria. Nella terribile notte tra il 29 e
il 30 giugno del 1849 – con Roma assediata dai francesi - si era
offerto volontario, "senza soldo e senza ascenzo", per il comando
dell’ultima batteria della difesa, quella della Montagnola, presso
San Pietro in Montorio. Venne accontentato. Intorno a lui cadevano
tutti i suoi soldati, insieme con l’altro tenente, anch’esso romano,
Oreste Tiburzi. Rimasto solo, Casini, a cavalcioni di un cannone,
continuò a tirare terribili fendenti con la sciabola, finché non
cadde a terra coperto di sangue. I francesi lo ritennero morto. Solo
il mattino seguente, nel corso di una perlustrazione, si accorsero
che era ancora vivo e lo trasportarono in un’ambulanza. Il medico
francese che lo soccorse, in un rapporto sulla Gazette Medicale de
Paris, ne descrisse l’eroico comportamento: "è stato portato
all’Ambulanza medica di Villa Pamphili un Ufficiale dell’Artiglieria
romana, che aveva il cranio spaccato da dodici colpi di sciabola,
una coscia forata da dodici colpi di baionetta, e una doppia
frattura al braccio destro. Egli aveva difeso la sua batteria come
un leone difende la sua prole e ha ceduto soltanto quando alla sua
volontà più non obbediva il braccio fracassato". Il coraggio di
Casini aveva toccato il cuore dei francesi. Lo stesso generale
Oudinot volle andare a trovarlo per elogiarne la condotta e per
specificare che lo riteneva non un prigioniero ma un ospite. Fu
accompagnato a casa dalla madre, in via Paola, su una barella
scortata dal picchetto d’onore francese. Purtroppo il suo fisico era
rimasto minato e l’eroe sarebbe morto un anno dopo, il 15 agosto
1850, per marasma.
Venne
seppellito in San Carlo al Corso, dove è ricordato da un monumento.
La sua tomba, però, non è stata ritrovata.