All’indomani
dell’8 settembre 1943, migliaia di militari italiani catturati dall’esercito
tedesco, essendosi rifiutati di collaborare con il Terzo Reich, passarono venti
mesi nei Lager. I soldati furono costretti al lavoro coatto, mentre gli
ufficiali, che per la maggior parte lo rifiutarono, subirono un maggiore rigore:
umiliazioni, freddo, fame, assoluto isolamento per mancanza di assistenza della
Croce Rossa. Tutti quelli che possedevano delle doti artistiche hanno cercato di
astrarsi dalla dura realtà realizzando, con i pochi mezzi a disposizione, delle
opere - per lo più disegni o ritratti - che spesso riuscivano a barattare con
qualche colore, un pennello, o con scarse ma preziose razioni di cibo: una
patata, un cucchiaio di grasso, un po’ d’acqua bollente, un pezzo di pane,
magari una cipolla, da dividere il più delle volte con i compagni meno
fortunati. Una vicenda poco conosciuta, a cui Annalisa Venditti ha dedicato una
conferenza alla Casa della Memoria e della Storia: "Entro dipinta gabbia. L’arte
reclusa nei lager dei militari italiani". L’incontro è stato presentato da
Stefano Caccialupi, Segretario Generale dell’A.N.E.I., mentre un interessante
quadro storico è stato delineato da Sabrina Frontera, dottore di ricerca in
storia contemporanea all’Università di Roma La Sapienza, studiosa della vicenda
dei militari italiani internati, che ha approfondito i problemi legati al loro
ritorno in Patria e la storia del campo di Wietzendorf.
Nel corso della
conferenza Annalisa Venditti ha proiettato numerose immagini di pastelli,
acquerelli, dipinti eseguiti con tecniche di fortuna, che testimoniano la
desolazione, l’abbrutimento, le privazioni, l’attaccamento a piccoli e banali
oggetti, relitti di una vita normale. Da un passato nemmeno troppo lontano
riemergono sguardi disperati, atteggiamenti di sconforto, volti segnati dagli
stenti e dall’incertezza del futuro. Immagine-simbolo della conferenza è stata
"La fame in gabbia", di Walter Lazzaro, in cui un gruppo di prigionieri mongoli,
chiuso in un reticolato, esprime la propria sofferenza attraverso atteggiamenti
ed espressioni sconvolgenti, che la Venditti ha paragonato a quelli di alcuni
dannati del Giudizio Universale della Cappella Sistina. Se fulcro della
composizione di Michelangelo è il Cristo giudice, nell’opera di Lazzaro è un
Uomo-Cristo, che apre le braccia come in croce, rendendo palese
il suo martirio e quello di tutti gli internati.
Al termine della
conferenza Annalisa Venditti ha presentato "La voce di San Gerardo", un giornale
redatto da un gruppo di ufficiali lucani nei campi di Biala Podlaska, in
Polonia, e di Norimberga Langwasser, in Germania, e dedicato al patrono di
Potenza. Si tratta di otto pagine compilate interamente a mano con calligrafia
regolare e corredate di illustrazioni, dipinte a pastello e ad acquerello da
Michelino Pergola e Mauro Masi. Il giornale, sfuggito alle perquisizioni
tedesche e riportato fortunosamente in Italia, è oggi gelosamente custodito
dalla famiglia di Michelino Pergola.
I prigionieri,
vittime della fame e degli stenti, oppressi dalla nostalgia per le case e le
famiglie lontane, descrivono le loro giornate nel campo, riuscendo a conservare
un lucidissimo senso di autoironia e alcuni dei valori umani più importanti,
primi fra tutti l’amicizia e la solidarietà.
Alla maniera dei
giornali e delle riviste dell’epoca, "La Voce di San Gerardo" presenta vignette
e pubblicità satiriche che ironizzano sulle condizioni degli internati, come la
reclame delle "patatiglios", le sigarette realizzate con le foglie di tiglio
involte nelle bucce di patate, una volta che i fumatori avevano consumato tutti
i fogli dei libri di scuola elementare, unico e inutile dono della Croce Rossa.
Accomunati dalla stessa sorte, uniti nella sventura, questi giovani ufficiali
trovarono nella tetra atmosfera del lager la speranza di una possibile
rinascita, suggerita dal calore delle loro comuni origini. "Nel fango
pietrificato dal gelo nacque un fiore", si legge nell’articolo di fondo. La
prima analisi de "La Voce di san Gerardo" è stata condotta da Annalisa Venditti
nel volume "Da Cannes a Tarnopol", dedicato alla storia di due internati
militari, Michelangelo Perghem Gelmi e Francesco Piero Baggini.
Nel corso della
conferenza sono stati proiettati alcuni brani dell’intervista di Annalisa
Venditti a Mauro Masi.
Il 27 gennaio,
"Entro dipinta gabbia" è diventata anche una mostra al pianterreno di Palazzo
Valentini, nella Sala della Pace, promossa dalla Prefettura di Roma e curata da
Annalisa Venditti. Su una gabbia di metallo sono state esposte opere originali
realizzate nei lager da Gino Spalmach, Alessandro Berretti, Delfo Previtali e
Mauro Masi, insieme con alcune riproduzioni: disegni di Walter Lazzaro,
Giovannino Guareschi e "La Voce di San Gerardo".