Nel
novembre del 1847 un ex ufficiale piemontese, Pantier, raccolse alcuni
adolescenti romani e cominciò ad addestrarli militarmente: nasceva così il
Battaglione della Speranza, in seguito capitanato da Masserano e aggregato alla
Guardia Civica Mobilizzata di Roma comandata dal colonnello Palazzi.
Il primo di
ottobre del 1848, un primo gruppo di quei ragazzini in divisa si radunò nella
locanda Martignoni, in via della Lungara, alla presenza di Angelo Brunetti,
Ciceruacchio. Dopo aver eseguito alcune esercitazioni, i giovinetti si sedettero
a tavola con Ciceruacchio, che improvvisò per loro dei versi: "Viva
la nuova Civica / più non temiam perigli / d’antichi eroi siam polvere / del
Nono Pio siam figli".
Nel 1849 il
Battaglione – forte di 33 elementi - partecipò attivamente alla difesa di Roma,
distinguendosi soprattutto alla breccia dell’ottavo bastione, presso Porta San
Pancrazio, dove si fece ricordare il Della Porta.
Così scriveva, nel
1850, una penna reazionaria, quella di Gaetano Valeriani: "verso il cadere della
Repubblica alla mobilizzata si associò una Compagnia d'imberbi ragazzetti, che
portava il nome di Battaglione della Speranza, titolo che esprimeva la
speranza che doveano in esso nutrire i popoli, come in un semenzajo d'invitti
campioni futuri. Ed esteri e nazionali tenevano in ridicolo questo Corpo
microscopico, i componenti il quale, nella maggior parte, avean bisogno tuttora
delle cure materne della nutrice. A questi elementi si affidava la salvezza,
anzi l’eternità, della Repubblica Romana!"
La piccola
formazione diede il suo tributo di sangue alla causa repubblicana, con almeno
quattro morti, tutti dodicenni. Tre di loro erano romani: David Bucchi,
Francesco Michelini e il tamburino Attilio Zampini, caduto il 30 giugno. Il
romagnolo Vincenzo Matteucci era morto il 3 giugno.
Tra i feriti, il
quattordicenne Antonio Lizzani, appartenente a una nota famiglia romana di
patrioti.
Gli "Speranzini"
erano impudenti e sfrontati. Uno di loro riuscì persino, sollevato da alcune
persone, a tagliare la penna rossa del cappello di una guardia svizzera, mentre
uno dei suoi compagni si impadroniva dell’alabarda di un altro svizzero.
Furono tanti gli
episodi eroici che ebbero per protagonisti questi piccoli soldati che gli stessi
francesi, una volta caduta la città, vollero rendere omaggio al loro valore.
Ma l’intera difesa
della Repubblica si avvaleva, in ogni suo reparto, di giovanissimi, se non
addirittura di bambini. Erano tamburini, portaordini, attendenti, ma spesso
combattevano, in un misto di coraggio e di incoscienza. I francesi erano
incuriositi dalle voci argentine e squillanti che arrivavano fino alle loro
postazioni, oltrepassando i bastioni. Un giorno si informarono presso un
ufficiale italiano che era andato a parlamentare. "Sono i nostri giovanetti –
rispose questi – che da 12 a 13 anni si arruolano nella truppa per combattere in
difesa della libertà della Patria".
Essenziale era la
funzione dei tamburini. Quegli stessi che durante le parate, nelle loro
sgargianti divise, segnavano il passo dei soldati, si ritrovavano nei
combattimenti scamiciati e laceri, come si vede in una stampa di Luigi Calamatta,
per incitare alla lotta e alla resistenza, battendo convulsamente sui loro
tamburi la "carica".
Emblematica la
storia di un giovane ciociaro, Domenico Subiaco, nato a Ripi il 4 dicembre 1832
da due contadini, Giovanni e Angela Maria Paparelli. Appena sedicenne, nel 1849
volle essere tra i difensori della Repubblica Romana. Per la sua statura, non fu
ritenuto adatto al combattimento. Non gli venne affidato un fucile, ma fu
nominato tamburino del I Reggimento Fanteria e come tale prese parte a più di
una battaglia. Il 3 giugno era sul Gianicolo, sotto il fuoco del generale
Oudinot.
Come racconta
Ceccarius, Domenico suonò l’allarme e la carica. Poi, gridando "viva l'Italia!"
e "viva Roma!", "raccolse il fucile di un soldato caduto al suo fianco,
spianandolo contro il nemico, ma una palla francese lo colpì nel mezzo della
fronte".
L’episodio è
riferito anche da Camillo Ravioli: "dall’alto della porta di S. Pancrazio tirò a
petto scoperto gettata l'uniforme - e lo vid’io nel mattino di quel giorno
stesso 3 giugno - da dieci a dodici colpi contro i francesi che assalivano il
bastione ottavo, facendosi porgere l'arma carica dai compagni che gli erano di
sotto, finché una palla nemica lo colpì nel parietale sinistro e lo gettò
rovescio e moribondo a basso".