Alessandro
Calandrelli era nato a Roma l’8 ottobre 1805 da Giovanni, incisore di pietre
preziose, e Maria Borelli. Entrò giovanissimo nell’artiglieria pontificia e
diventò cadetto prima ancora di compiere 13 anni, primo atto di una brillante
carriera militare.
Nel 1836 scrisse
una Memoria sull’artiglieria pontificia e l’anno seguente fu nominato professore
presso la Scuola dei cadetti d’artiglieria. Mentre era di stanza a Civitavecchia
rivelò anche le sue doti di studioso, con una Memoria sul castello di Santa
Severa e la decifrazione e la raccolta di antiche iscrizioni. Nel 1842 rilevò la
pianta della piazza fortificata di Civitavecchia e studiò le possibilità di
difesa della maremma toscana. Dopo il 1847 ottenne una medaglia d’oro di
benemerenza per il Regolamento del vestiario
della Guardia civica.
Nel novembre del
1848, dopo l’assassinio di Pellegrino Rossi e la fuga di Pio IX, Alessandro,
ormai capitano, aderì al governo provvisorio, diventando ben presto maggiore.
Nel gennaio dell’anno seguente venne eletto deputato dell’Assemblea costituente.
Proclamata la Repubblica Romana, ne fu prima sostituto del ministro della Guerra
e della Marina, quindi ministro interno. La sua preparazione e la sua esperienza
lo portarono a studiare una serie di provvedimenti per rendere più efficiente un
esercito scarsamente preparato dal punto di vista militare, composto da gruppi
volontari. Secondo il Calandrelli la legione Garibaldi aveva una crescita
incontrollata e vi si inserivano elementi indisciplinati in grado di provocare
disordini di vario tipo. La sua proposta all’Assemblea di aumentare gli
effettivi dell’esercito attraverso la coscrizione obbligatoria degli uomini dai
18 ai 36 anni fu respinta e la polemica che ne seguì provocò la sua messa in
disparte dalla vita politica repubblicana.
Durante l’assedio
francese della città, il suo contributo fu prezioso e nell’epica battaglia del
30 aprile, nella quale gli uomini del generale Oudinot furono sconfitti e
respinti, si guadagnò una medaglia d’oro al valor militare. Nei giorni di
euforia che seguirono, il cantastorie cieco Tarantoni girava per le strade di
Trastevere con la sua chitarra cantando una semplice canzoncina i cui versi
suonavano così: "Ciavemo Garibbardi / Ciavemo
Calandrella/ sti boja de francesi/ nun so potuti entrà/ l’emo respinti indietro
/ nun ponno aritornà".
I francesi, però,
sarebbero tornati, eccome, più forti e agguerriti di prima, tradendo la tregua
di Lesseps. Calandrelli, che fin dal 17 maggio era stato nominato, con il grado
di colonnello, direttore generale delle fortificazioni, si distinse nella
battaglia del 22 giugno, dirigendo l’artiglieria per impedire che gli assalitori
rafforzassero le posizioni conquistate il giorno precedente. Ma le sorti della
Repubblica erano ormai segnate. Il 1° luglio il triumvirato composto da Mazzini,
Saffi e Armellini si sciolse e se ne costituì uno nuovo, di cui facevano parte,
oltre ad Alessandro Calandrelli, Livio Mariani e Aurelio Saliceti.
Una volta
ristabilito il governo pontificio, Alessandro subì gravissime accuse di furto,
incettazione e concussione. Nel processo che ne seguì, nonostante si proclamasse
innocente, fu condannato a numerosi anni per furto e a morte per alto
tradimento. Nell’agosto del 1851 Pio IX mutò tutte le sue pene in 20 anni di
carcere ad Ancona. Da qui, a settembre, scriveva alla sorella: "Oggi son povero,
abbandonato e non possedo in mia tasca che 36 baiocchi...ecco il frutto dei miei
furti..."
Persino il re di
Prussia Federico Guglielmo IV si adoperò per il rilascio del Calandrelli, che
tuttavia dovette rimanere in carcere per due anni. Finalmente il 15 giugno del
1853 il Pontefice gli commutò la pena in esilio perpetuo, permettendogli di
riunirsi al padre e al fratello Ludovico che si trovavano a Berlino. Qui
Alessandro si guadagnò da vivere dando lezioni di italiano. Tra i suoi allievi
il naturalista e geografo Alexander von Humbold e Ferdinand Lassalle, che negli
anni a seguire sarebbe diventato leader del movimento operaio tedesco. Si sposò
con Emilia Reineke, che gli diede tre figli.
Solo dopo la
breccia di Porta Pia poté tornare a Roma. Era il 2 ottobre del 1870. Divenne
Consigliere del Circolo romano e prese parte attiva alla vita politica. Trovò un
modesto ma dignitoso impiego come ispettore edilizio del Comune. Nel 1871 iniziò
anche a collaborare saltuariamente con il quotidiano "Il Tribuno".
Si iscrisse alla
Società dei reduci delle patrie battaglie, fece parte della Commissione per le
onoranze Mazzini e di un’altra incaricata di individuare i nomi dei Romani
caduti durante il Risorgimento. Nel 1884 si ritirò ad Albano, dove morì il 7
febbraio 1888.