Raffigura Cristo che libera uno schiavo bianco e uno nero
Il mosaico dei Trinitari nell’edicola del Celio
di Cinzia Dal Maso e Antonio Venditti

Sul Celio, di fronte all’arco di Dolabella e vicino alla chiesa di Santa Maria in Domnica, su un antico portale duecentesco con un arco a sesto pieno spicca una bellissima edicola in marmo con due colonnine che protegge uno splendido tondo musivo sormontato da una croce, raffigurante Cristo mentre libera due schiavi. Qui sorgeva il complesso di San Tommaso in Formis, insediatosi nel 1207 in un antico monastero benedettino, per concessione di papa Innocenzo III che lo donò a San Giovanni de Matha, il provenzale fondatore dell’ordine dei Trinitari. Fin dal 1209 il santo francese vi aggiunse un ospedale per la cura degli schiavi riscattati, a cui il portale dava accesso.

Tutt’intorno al mosaico corre la scritta con lettere in oro su fondo scuro "Signum Ordinis Sanctae Trinitatis et Captivorum", ossia "Emblema dell’Ordine della Santa Trinità e degli Schiavi". Particolarmente suggestivo il soggetto raffigurato: Cristo, maestoso e assiso in trono, libera due piccoli schiavi – uno bianco e uno nero - disposti ai suoi lati. Lo schiavo bianco regge in mano una croce rossa e azzurra su una lunga asta. Il Salvatore gli afferra con la mano destra il polso destro, nell’atto di liberarlo. Le catene che gli stringono le caviglie sono spezzate. Con la sinistra il Cristo prende il polso sinistro del moro, nella cui destra è un lungo scudiscio. Le catene che gli ostacolano il cammino restano chiuse. Si tratta di un’opera fortemente simbolica, in cui entrambi gli schiavi vengono riscattati fisicamente dalla prigionia, anche se per il moro non c’è la vera liberazione, per ottenere la quale occorre la conversione.

L’iconografia ci riporta alla famosa visione avuta da San Giovanni de Matha il 28 febbraio del 1193, durante la celebrazione della sua prima messa: un uomo dal volto radioso che teneva per le mani due individui con le catene ai piedi: uno nero e deforme, l’altro bianco, pallido e macilento. L’uomo gli intimò di liberare le povere creature schiave per motivi di fede.

Giovanni comprese immediatamente che la sua missione sacerdotale sarebbe stata quella di emancipare gli schiavi cristiani in Nordafrica, dove i pirati del Mediterraneo vendevano i giovani rastrellati negli assalti in mare e nelle scorribande di terra: a Cerfroid, a circa 100 chilometri da Parigi, fondò con quattro eremiti l’Ordine della Santa Trinità e, ottenuta nel 1198 l’approvazione pontificia, partì per il Marocco. Qui i Trinitari visitarono prigioni e mercati, trattando sia con le autorità che con padroni, e riuscirono a liberare i primi duecento schiavi, con regolari scritture registrate da un notaio. Al ritorno, lo sbarco a Marsiglia fu estremamente commovente, con San Giovanni che accompagnava i duecento emancipati alla cattedrale cantando il salmo "In exitu Israël de Aegypto". L’Ordine vestiva l’abito bianco con una croce rossa e azzurra sul petto, una cappa e un cappuccio neri. Le comunità erano piccole e agili, la regola austera, le chiese semplici e prive di eccessivi ornamenti.

Tra il 1199 e il 1207 San Giovanni si lanciò in un attivismo frenetico, per trovare denaro con cui incrementare le operazioni di riscatto e aumentare i centri di accoglienza. Nel 1209 l’Ordine possedeva 30 case, che sarebbero diventate circa 600 nel 1250, quasi tutte in Francia o Spagna.

A Roma Innocenzo III gli donò la chiesa abbaziale di San Tommaso in Formis, dove morì il 17 dicembre del 1213.

La Regola dei Trinitari prevedeva che un terzo degli introiti dell’Ordine, derivanti dalle elemosine, fosse destinato al riscatto dei prigionieri, mentre il restante venisse utilizzato per il sostentamento degli stessi Trinitari e per l’assistenza ai riscattati, prontamente accolti negli ospedali dell’Ordine.

Il portale di San Tommaso in Formis è certamente opera dei Cosmati, come testimonia l’iscrizione della cornice: "MAGISTER IACOBUS CUM FILIO SUO COSMATO FECIT OHC OPUS". Il mosaico, invece, fu aggiunto in un secondo tempo, intorno al 1210. Solitamente viene attribuito agli stessi Cosmati, ma senza fondamento. Secondo Guglielmo Matthiae, l’opera deriverebbe dai coevi trittici laziali di scuola locale bizantineggiante. Anche lo sguardo ascetico del Cristo potrebbe riportare alla tradizione bizantina

Dell’argomento si parlerà a Nuova Spazio Radio (88.100 MHz), nel corso dell’Intervista possibile di "Questa è Roma", il programma ideato e condotto da Maria Pia Partisani, in studio con Livia Ventimiglia il sabato dalle 10 alle 11.

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