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Alcuni, però, davano "lezioni" improprie della loro abilità

"Artisti" delle serrature erano i mastri chiavari

di Antonio Venditti

 

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Da piazza Cairoli, procedendo in direzione di Campo de’ Fiori, la prima strada sulla destra di via dei Giubbonari è via dei Chiavari, cosi detta perché anticamente era occupata dalle botteghe di fabbri specializzati nella realizzazione di serrature e chiavi, i quali, dopo aver abbandonato la via Agonale, si stabilirono in questa zona rimanendovi in parte fino alla prima guerra mondiale, quando l’ultimo di loro, un certo Lilla, si decise a chiudere la propria bottega.

Sull’attività di questa categoria di artigiani specializzati in chiavi di ogni tipo si avvertiva nel Cinquecento "che qualche Mastro Chiavaro potesse essere talora dannoso perché faceva chiavi contraffatte per via di impronta e con i grimaldelli insegnava ad aprir le botteghe dei mercanti di notte ed a far ladrocini".

Protettore dei chiavari era S. Ampelio che secondo una pia tradizione sarebbe stato fabbro e maniscalco prima di ritirarsi a vita eremitica o monastica, di cui una leggenda agiografica narra che "... colle tenaglie infuocate fugò il demonio a lui apparso in forma di femmina seducente".

Negli statuti dell’Arciconfraternita di S. Eligio del 1839, i chiavari erano inseriti nell’elenco dei tredici corpi d’arti della Confraternita dei Ferrari.

La strada, secondo il Lanciani, nell’età di mezzo fu denominata Latrio, corruzione delle parole Atrio o Teatro. Riporta B. Blasi: "Nel 1554 scavandosi in via dei Chiavari, dietro il Teatro di Pompeo, fu scoperto un piedistallo di marmo con iscrizione che diceva: ‘Genio Jovii Aug. Jovia porticus eius a fundamentis absoluta excultaque Aelius Dionisius v. c. operi faciundo". Nel secolo seguente scavando nella stessa via, sotto la casa dei Cavalieri si trovò un piedistallo gemello che diceva: ‘Genio Herculei Aug. Herculea porticus eius a fundamentis absoluta excultaque Aelius v. c. operi faciundo’. Le due leggende insegnano il sito approssimativo dei portici Govio ed Erculeo, caduti per terremoto, secondo la testimonianza di Orosio, e che le Portica Nova furono costruite e denominate il primo da Deocleziano Giovio, il secondo da Massimiano Erculeo, e che si continuavano a chiamare Novi per la medesima abitudine popolare che si fa tutt’ora denominare Chiesa Nuova quella costruita nel Cinquecento". Va precisato che via dei Chiavari delimita il confine, oltre che tra i Rioni Parione e Ponte, anche tra la scena e il quadriportico del vicino Teatro di Pompeo.

Sulla strada, dove si aprono alcuni portoni dalle linee architettoniche rinascimentali e barocchi, era l’antichissima locanda del "Padiglione". Degna di nota una casa con inserita una targa con la conchiglia e il bordone - insegne dello xenodochio di S. Giacomo degli Spagnoli - unita al palazzo in angolo con piazza dei Satiri sul quale si apre un portone ornato con un festone e una conchiglia con bordone, mentre nell’architrave delle finestre al piano nobile si ripete il motivo del festone. In questo luogo alcuni edifici erano di proprietà degli Stabilimenti Spagnoli.

Nell’edificio contrassegnato dal n. 6, attribuito a Baldassarre Perruzzi, morì il collezionista e studioso Cassiano del Pozzo (1588-1657), "il più erudito, il più umano e compito cavaliere d’Italia", come ebbe a definirlo il Lombroso. Fu un appassionato collezionista di antichità numismatiche, epigrafiche, bibliografiche, andate poi in possesso del cardinale Albani e successivamente vendute dai suoi nipoti al re di Prussia. La nave che trasportava la biblioteca naufragò presso Civitavecchia e molti preziosissimi libri andarono perduti. La raccolta di stampe e disegni fu ceduta all’Inghilterra, ma una parte nel 1703 passò alla Biblioteca Vaticana. In questo stabile dimorò per molti anni padre Giovanni Semeria (1867-1931) e nella stessa strada, nella seconda metà del Settecento, Francesco Maria Cervetti si prodigava a togliere dalla strada i fanciulli abbandonati, che nel 1812, insieme a quelli di Fra’ Bonifacio da Sezze, confluirono nell’ospizio di Tata Giovanni.

Al n. 38 di via dei Chiavari è venuto alla luce - ed è stato parzialmente lasciato in vista - un alto muro che si è voluto identificare con parte della medioevale Torre Tofara, il cui nome è forse da collegare al materiale adoperato per la sua costruzione, i tufelli.

Uno studio del 1990 ha messo in luce la particolarità della torre – oggi inglobata in edifici posteriori e che compare in documenti del 1387 – di essere allineata con i resti di altre due torri, anch'esse inglobate in edifici di diversa origine, una in vicolo dei Chiodaroli 15, l'altra in via Monte della Farina 30. Da qui la supposizione di trovarsi di fronte ai resti di un grande complesso fortificato, costituito da un palazzo, dalla Torre Arpacasa a Campo de' Fiori e da una serie di torri collegate tra loro da un muro, come fanno pensare i resti di muro in tufelli, individuati ai lati della torre a Monte della Farina. Per cui la Torre Tofara, considerato il significativo allineamento, potrebbe fare parte della cinta muraria del castello del ramo cadetto della famiglia Orsini.

Via dei Chiavari, allargata nel 1863, sbocca sul largo omonimo - formatosi per l’abbattimento di un isolato - tra il corso Vittorio Emanuele II e la via dei Giubbonari. Nel Cinquecento si trovava una casa sulla cui facciata era dipinta a chiaroscuro una scena di naufragio, attribuita dal Vasari a Polidoro da Caravaggio oppure a un suo imitatore. Probabilmente si tratta di uno di quegli alberghi denominati "Nave" che erano presso Campo de’ Fiori.

All’incrocio con via dei Giubbonari, un’iscrizione del 1730 ricorda che sarebbe stata inflitta una multa salata a chi avesse sporcato le strade gettando immondizia. Infatti, si può ancora leggere chiaramente: "Per ordine di Monsig. Presidente delle Strade si proibisce a tutte e singole persone di qual si sia stato grado e condizione di buttare e far mondezzaro per tutto il presente luogo sotto pena di scudi dieci et altre ad arbitrio come dall'editti publicati sotto li tredici gennaro 1723 e sotto il 20 gennaio 1730".

Dell’argomento si parlerà sabato prossimo all’interno della trasmissione "Questa è Roma!", il programma di intrattenimento sulla storia della Capitale ideato e condotto da Maria Pia Partisani, in onda dalle ore 11 alle 12 su Nuova Spazio Radio (88.150 MHz).

 

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