L’area occupata attualmente al
n. 5 di piazza Venezia dal Palazzo Bonaparte, in precedenza era divisa a
metà da un vicolo che si svolgeva tra Via del Corso e vicolo Doria. In angolo
con piazza di Venezia, isolato, si trovava un palazzetto di stile
rinascimentale, dall’altra parte sorgeva un piccolo edificio.
I due edifici furono riuniti a
partire dal 1658 per la costruzione del Palazzo della Famiglia D’Aste, oriunda
di Albenga, di cui un esponente, stabilitosi a Roma, acquistò dai Bonaventura la
casa sulla Via del Corso.
Giuseppe e Benedetto D’Aste
incaricarono della costruzione del palazzo di famiglia Giovanni Antonio De Rossi
che la portò a termine dopo il 1665, dando vita a una costruzione ricca
di novità e di finezze, sfruttando abilmente le difficili condizioni del lotto.
In questo edificio il De Rossi
riprende l’uso del travertino a superficie scabra, martellato dalla bocciarda,
applicandolo non solo nelle bugne dei cantonali e nelle paraste superiori, ma
anche nelle fasciature orizzontali, negli stipiti delle finestre e nelle mensole
della balconata.
Il piano terra prospetta con
quattro finestre architravate con davanzale a mensole e sottostanti fìnestrelle;
al centro l’attuale portale con una disadorna cornice bugnata è una modesta
sostituzione di quello assai ricco, che in una incisione di G.B. Falda appare
affiancato da colonne e collegato a un grande balcone.
La profonda rientranza
dell’ingresso dà luce allo scenografico atrio allungato, una vera e propria
galleria, aperto da una serie di grandi finestre binate, che seguono la
rientranza del cortile, per poi concludersi, con raccordo concavo, nel
pianerottolo della scala, ornato da sculture antiche.
Le finestre del primo piano
presentano timpani curvi adornati da conchiglie, motivo ripreso da un
particolare della cupola di San Luca, a sua volta un prototipo decorativo per
gli architetti del secolo seguente. Sulla finestra centrale è lo stemma dei
Bonaparte, principi di Canino e Musignano, retto dall’aquila napoleonica.
Sull’angolo di via del Corso il
celebre balcone seicentesco, elemento che collega visivamente le due facciate, è
sormontato da una loggetta coperta, interamente rivestita da persiane verdi,
dalla quale Madama Letizia (Ramorino) Bonaparte, madre di Napoleone, assisteva,
non vista, al sottostante passeggio, alle feste durante il carnevale e, non
ultima, alla corsa dei berberi.
Il mignano di Piazza Venezia è
stato testimone del suo triste tramonto. Madama Letizia, insieme con altri
napoleonidi, si era rifugiata a Roma, nonostante che le truppe francesi in
precedenza l’avessero strappata al Papato. Pio VII (1800-1823) si dimostrò molto
generoso nei suoi confronti e Letizia espresse la propria riconoscenza in una
lettera scritta, in italiano, al cardinal Consalvi:
"Io sono veramente la madre di tutti i dolori, e
l’unica consolazione è di sapere che il Santo Padre dimentica il passato per
ricordarsi solo della bontà da lui sempre dimostrata a tutti i membri della
famiglia... Noi non troviamo appoggio che nel Governo Pontificio e la nostra
gratitudine sarà immensa".
Arrivata a Roma il 15 agosto
1815, avendo perduto ogni speranza di poter raggiungere il figlio a Sant’Elena,
Madama Letizia rimase per circa tre anni in casa del fratellastro, il cardinal
Fesch, al primo piano di Palazzo Falconieri, in via Giulia. Successivamente
acquistò dai marchesi Rinuccini di Firenze, per 27 mila piastre, il palazzo di
Piazza Venezia che da lei prese il nome Bonaparte. Iniziò ad abitarvi nel marzo
del 1818, occupando per 18 anni un appartamento di nove saloni del piano nobile.
Non si tolse mai il lutto dal giorno della morte di Napoleone. Faceva una vita
oltremodo ritirata, interrotta ogni tanto da qualche passeggiata al Pincio o
nella villa di Paolina a Porta Pia dove il 22 aprile 1830 cadde rompendosi il
femore: "Un stinco je batte co un ginocchio ", disse G. G. Belli, che
impietosamente l’aveva descritta come la madre "de quer gran colosso -
che potava li Re co la serecchia", una povera vecchia "impresciuttita lì
peggio d’un osso", che "cala ogni giorno e va sfumando a occhio",
cibandosi soltanto di "cunzumé ". Trascorse gli ultimi anni immobilizzata
e cieca su una poltrona, interrogando su quanto avveniva sotto il suo balcone la
sua dama di compagnia, Rosa Mellinifino, fino al giorno della sua morte, che
avvenne il 2 febbraio 1836. Il Palazzo fu ereditato dal nipote, Camillo
Bonaparte e in seguito passò ai marchesi Misciattelli.
Al secondo piano si affacciano
cinque finestre con timpani triangolari dai lati curvi, adorni di teste di
leone, derivate dall’Oratorio dei Filippini. Il cornicione ricchissimo - con
mensole binate - è scandito da piccole finestre, alcune allungate
posteriormente, con balconcino; alle estremità il leone rampante dei D’Aste.
I cantonali sono riccamente
modanati con elemento curvo tra due lesene. Dal tetto sporge al centro una
loggia con parapetto a balaustri.
Sul lato prospiciente su via
del Corso l’architettura di Palazzo Bonaparte si ripete per nove finestre,
mentre risvolta con quattro verso il vicolo Doria.
La chiusura geometrica del
volume è stato risolta dal De Rossi con la ricca intelaiatura del cantonale
convesso, compreso in basso da lesene, bugnate e rastremate, che assumono
successivamente l’aspetto di ruvide membrature, capaci, al punto di incontro con
le cornici, di articolarle, dando vita a plastiche e ripetute ghiere.
L’arrotondamento dello spigolo dell’edificio conferisce compattezza all’intero
volume.
Il De Rossi nel corso della sua
attività progettò molti edifici, senza però mai raggiungere il livello artistico
del Palazzo D’Aste.
Il Palazzo è sormontato da una
altana con breve parapetto a gruppi di piccoli balaustri, ove ancora si legge la
scritta "Bonaparte".